Capitolo XIV

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Capitolo XIV




"Allora, si può sapere che vi siete detti tu e Zoe prima che lei partisse?"

"Non sono affari tuoi."

"Lo sono, invece. Io sono Niconico, il tuo bell'amichetto d'infanzia. Ricordi?"

Giacomo sbuffò, sull'orlo di un esaurimento nervoso. Era un bel po' che andavano avanti così e, anche se era abituato a essere paziente con il suo amico, stava decisamente cominciando a stufarsi di tutte quelle domande.

Era a casa sua, a Lecce, da due ore stavano cercando di mettere a posto le parole dell'ultima canzone scritta da Niccolò. Giorgio era ancora in vacanza con la sua fidanzata, ma i due più giovani del gruppo avevano deciso di rimboccarsi le maniche in anticipo, prima del ritorno a Milano previsto intorno al dieci di gennaio.

Fino a quel momento tutto era andato bene: seduti uno alla scrivania e l'altro sul letto avevano lavorato di buona lena, senza interruzioni. Ma poi, all'improvviso, Niccolò aveva cominciato a fare domande indiscrete su Zoe e sul suo ritorno a casa e su cosa si erano detti e su troppe cose, insomma. Neanche sospettasse qualcosa.

La verità era che Giacomo non voleva raccontare a Niccolò cos'era successo con Zoe, non voleva dirgli del bacio all'aeroporto e non voleva spiegargli cos'aveva provato. Le avvertiva come cose pienamente sue, personali, private. Ed era strano che proprio lui si sentisse così: di solito non aveva problemi a raccontare tutto almeno a Niccolò, ma stavolta era diverso, era suo. Non voleva dare spiegazioni a nessuno, non voleva essere preso in giro dal suo amico, non voleva sentirsi dire "te l'avevo detto".

D'altronde, se l'era detto anche da solo di non farlo, ma non aveva funzionato. Ora era piuttosto confuso, tutto lì. Quindi preferiva evitare inutili discorsi con Conte, che a volte avevano il potere di confonderlo ancora di più.

"Pensa alle cagate che hai detto tu la sera di capodanno, invece," sviò il discorso, pragmatico.

"Mah... Non me ne pento, sai."

"Tu sei senza ritegno! Non ti vergogni neanche un po', incredibile."

"Ho fatto il coglione tutta la sera," ammise Niccolò con un'alzata di spalle. "Ci sono ben altre cose di cui dovrei vergognarmi, ripensando al mio capodanno."

"Almeno lo ammetti," sbuffò Giacomo, buttandosi all'indietro per stendersi sul letto, supino.

"Ma certo," confermò l'altro. "Ho detto che dovrei vergognarmi, non che me ne vergogno," precisò poi, per evitare di dare ragione all'amico. "Quello che intendo dire è che, sì, ero ubriaco, ma le cose che ho detto a te e Zoe erano giuste e le ripeterei. Se almeno fossero servite veramente a farvi baciare..."

La frase di Niccolò si fermò su quei puntini di sospensione, per lasciare all'altro la possibilità di ribattere con uno dei suoi soliti insulti. Che non arrivò. Anzi, calò per qualche secondo un silenzio più assoluto, carico di sottintesi.

"Che, scherzi? Vi siete baciati?!"

Niccolò gli era saltato su talmente velocemente e talmente convinto di aver interpretato bene il suo silenzio che per un attimo Giacomo si sentì spacciato e reagì d'istinto.

"Ma cosa dici!" si difese con enfasi, tornando seduto di scatto.

Niccolò alzò eloquentemente le sopracciglia. "Hai fatto una faccia..."

Quale faccia? Lui non aveva fatto nessuna faccia. Anche se, doveva ammetterlo, tanto intuito da parte del suo amico non se lo sarebbe aspettato, l'aveva stupito.

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