Giacomo 3

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Giacomo 3




Non mi vuole parlare al telefono, non ne vuole proprio sapere di me, e questo fa male, tanto.

Svuotandomi di questo maledetto peso che sento ormai da mesi, facendo intuire a Zoe che sono innamorato di lei, ho fatto in modo che mi odi. O forse le ho solo fatto una paura tremenda. Poco importa, il risultato è lo stesso, e fa schifo.

Ma lo sei davvero, innamorato di lei?

Fino a poco tempo fa, fino a prima della telefonata, ero semplicemente confuso, non lo sapevo. Ho parlato senza collegare il cervello, atterrito e preoccupato dal fatto di sentirla così giù, ma ancora non sapevo bene classificare quello che provavo.

Di fatto, tra noi è sempre stato tutto così strano. Non sono mai riuscito bene a scindere l'affetto che provo per Zoe dall'attrazione fisica che ho verso di lei, attrazione che ultimamente mi impedisce di ragionare quando ce l'ho accanto.

Da quando Zoe ha cominciato a uscire con l'idiota, poi, ho sentito chiaramente qualcosa cambiare dentro di me. Mi sono scervellato per settimane chiedendomi se avessi effettivamente oltrepassato i limiti che un'amicizia uomo-donna come la nostra poneva fin dall'inizio o se fossi solo geloso di quel tipo. Ci ho ragionato sopra per giorni e giorni ma non sono mai riuscito a darmi una risposta, o forse non ho mai voluto darmela. Finché non è stato troppo tardi.

Lo sapevano tutti tranne te, Pioggia.

È assurdo ma è così. L'avevano capito tutti. Niccolò lo sapeva e sono sicuro che lo sapesse anche Giorgio. E poi mia mamma e mio nonno Nicola, che si aspettano ancora di vederci arrivare a Lecce con l'anello di fidanzamento da un momento all'altro. Gesù, l'ha capito persino Beatrice un attimo prima di me.

Come ho fatto a essere tanto cieco? Ho voluto evitare il problema ed esso si è solo ingigantito, arrivando a un punto dal quale è impossibile pensare di tornare indietro. Infatti non sono ancora tanto stupido da non rendermi conto che con quella cazzo di telefonata ho fatto un grosso, grossissimo errore. Uno sbaglio colossale.

Eppure, anche se conosco Zoe come le mie tasche ormai, non avrei mai potuto prevedere una reazione del genere. Ho provato a chiamarla più e più volte per quasi tre giorni interi, ma non c'è stato verso di convincerla a rispondere. Credo di averle anche lasciato un paio di messaggi in segreteria, per non parlare del numero enorme di sms che le ho inviato. Probabilmente, conoscendo la sua coerenza e testardaggine, non li ha nemmeno letti.

Non sono il tipo che sta a piangersi addosso, comunque, non lo sono mai stato.

Per questo motivo ho preso la macchina e sono partito. Non sono mai stato tanto agitato all'idea di vederla, ma non posso perderla, questo no. Ho bisogno di lei, ho estremamente bisogno di sapere che fa parte della mia vita e mi fa male pensare che è arrabbiata con me. Non potevo starmene con le mani in mano, dovevo fare qualcosa.

Perciò adesso sono esattamente davanti alla porta di casa sua, che guardo il campanello. Fatico quasi a respirare, la mia proverbiale sicurezza sta vacillando non poco: quasi vorrei tornare indietro, da bravo codardo.

So che rinunciare ora non sarebbe una buona idea. Primo, ho fatto quasi tre ore di macchina pe essere qui. Secondo, voglio vederla, parlarle, spiegarmi. Fare pace. Tornare amici.

Sospira forte, respira, Giacomo. Allunga la mano, suona il campanello.

Ironia della sorte, la porta la apre proprio Zoe. Faccio appena in tempo a guardarla, a seguire i suoi movimenti, il suo sguardo.

È un attimo, mi si stringe il cuore in un attimo appena la intravedo.

Ha i capelli legati a nodo sulla nuca, dei pantaloni corti grigi e un enorme felpa nera con davanti una scritta – sembra il nome di una band, forse, ma non faccio in tempo a capire. Indossa gli occhiali che usa per studiare e ha un incarnato pallido, per niente positivo. Non sta bene.

La trovi bella lo stesso, però.

Ripeto, mi si stringe il cuore. E vorrei prendermi a sberle da solo se penso che magari sta male anche per colpa mia, per quello che le ho detto.

Lei non lo merita, Giacomo, sei un mostro.

Dura tutto pochi secondi. Apre, mi vede, sgrana gli occhi, alza entrambe le sopracciglia, tre secondi in tutto. Tempo di assimilare ciò che ha visto, di comprendere, due secondi. Dopodiché il suo sguardo si fa da sorpreso a deciso in un altro secondo netto.

Dice semplicemente "no" e mi chiude la porta in faccia, senza diritto di replica.

Resto un attimo interdetto: sapevo che era arrabbiata, ma non mi aspettavo una reazione così veemente. Mi riprendo e mi appoggio con le mani alla porta, sapendo che lei è ancora dall'altra parte, ferma come me.

"Zò!"

Batto il pugno sull'uscio, deciso.

"Zoe, apri. Per favore."

Sento da dentro un altro "no" secco, poi un rumore di passi che si allontanano.

Maledizione.

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