Sesto giorno - 5

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Paul aveva un aspetto orribile. Magro, rinsecchito, scheletrico. La barba di almeno tre mesi, la poca pelle che gli era rimasta, riarsa, bruciata dal sole. Era l'ombra di un uomo. Il fantasma di un povero disgraziato lasciato a rosolare in un deserto, senza bere e senza mangiare.
«Già» constatò egli stesso.
«Paul, ma che cazzo...»
Ma Paul fissava la propria immagine nello specchio. Si tendeva la pelle della fronte con i palmi, come per esaminarsi le rughe. «Sembrerebbero mesi, invece sono passate soltanto poche ore. Ho visto il calendario in cucina, per quello lo so.» Disse: «È il tempo, Mike. Credo laggiù si sposti in modo diverso.»
«Laggiù...»
Il suo collega raccolse qualcosa da dentro la vasca. Un martello. Non uno qualsiasi, quel, martello. «Mi hai mandato tu sull'isola, non è così? Quando hai scoperto che mi scopavo Vanessa.» Fece un passo avanti.
«Paul, tu hai bisogno di aiuto» balbettò Mike, che d'istinto alzò la scopa.
L'altro scoppio a ridere. «No, non più. Non più, amico mio. Ora sei tu quello che ha bisogno d'aiuto.» Sollevò il martello, Mike si riparò dietro la parete. Ci fu un istante di silenzio, poi lo specchio esplose in mille frantumi. Seguì un rumore liquido di lacerazione, come un materasso ad acqua che veniva squarciato dagli artigli di un grosso felino. Mike capì cosa stava accadendo.
Si lanciò di nuovo in bagno. «No!» gridò, ma ormai era tardi. Paul, a terra, annegava nel mare del suo stesso sangue. Fiotti rossi come succo di arancia zampillavano dalla sua bocca e dal suo collo dilaniato, innaffiando il pavimento. La cosa buffa era che stava sorridendo. «In quelle casse non c'era mai niente di utile» disse. «Puoi giurarci. E poi, teneva sempre tutto per lui.» Impugnava una grossa scheggia, la stringeva così forte che la lama gli stava segando via le dita.
Mike non riusciva a muoversi. Non riusciva nemmeno a staccare gli occhi da quella scena.
Paul lo fissò. «E le cose che mi faceva fare...»
Infine, sentì che stava arrivando.
Girò la testa e vomitò.

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