19. Equilibrio (Chantal)

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Quando apro gli occhi, la sensazione di vuoto mi circonda tutta. Mi sembra di essere sospesa in aria, di galleggiare nell'atmosfera e di non poter più toccare il pavimento. Istintivamente porto le mani alla testa, reggendola, la sento pesante ed al tempo stesso vuota. Che strano contrasto, quasi improbabile!

Capisco immediatamente di essere finita in uno dei miei sogni, ma d'altronde non è difficile comprenderlo. Non sono nella grotta buia e fredda, al caldo accanto al corpo di Dylan, o meglio, probabilmente io sono lì davvero, ma la mia mente è altrove, in uno strano posto che odora di muffa e di vecchio, circondato completamente dall'oscurità.

Non urlo, non proferisco parola, rimango in silenzio a camminare nel vuoto, sono sospesa ma non cado e questa cosa mi rende felice. Mi chiedo cosa mi attenderà, questa volta, i miei sogni mi riservano sempre grandi sorprese.

Comincio a tastare l'aria con le mani e, non troppo distante da me, percepisco una superficie solida e liscia, credo sia fatta di metallo. La spingo, ma essa non si smuove, rimane ferma. Passo all'altro lato e sento la stessa sensazione sotto le dita e le mani. È tutto così strano.

Spingo le mani avanti, dietro e confermo il dubbio che mi era balenato in testa: sono in una grossa scatola di metallo, nella quale posso camminare all'infinito nonostante io sia circondata dalle pareti. Quasi scoppio a ridere per l'assurdità della faccenda, ma non me ne sorprendo: nei miei sogni tutto può succedere.

Continuo a camminare a vuoto, senza una meta apparente, fino a quando non riesco più a percepire il pavimento sotto di me. Cerco di trovare un appiglio o di aggrapparmi a qualcosa, ma è ormai troppo tardi: precipito. Ed urlo, con quanto più fiato ho in gola.
Urlo talmente tanto da far scoppiare i miei stessi timpani, mentre le corde vocali implorano pietà.

E poi mi giunge una voce alle orecchie, sembra sorpresa, ma dolce e gentile al tempo stesso. «Chantal, sei proprio tu?», è la domanda che mi pone e quando mi concentro sulla voce, finalmente apro gli occhi e cesso le mie grida, rendendomi conto che non sto più precipitando. È come se la voce mi abbia salvata!

Attorno a me c'è la luce, nel senso reale della parola. Non sono più in una scura e buia scatola di metallo, questa volta sono in una chiara e lucente scatola bianca e poco più in là, poggiata ad un angolo, vi è una figura femminile con lunghi capelli arancioni. Mi avvicino di soppiatto, con la massima prudenza ed attenzione e non posso credere ai miei occhi: in una scatola di luce, io ho trovato Luce.

Entrambe ci osserviamo stupite, ma al tempo stesso diffidenti, come intimorite da ciò che abbiamo di fronte. Mille sono le domande che mi balenano nella testa e la mia unica risposta è semplice: sto soltanto sognando.

Vorremmo parlare, apriamo la bocca per proferire parola, ma alla fine nessuna delle due ha il coraggio di farlo. Rimaniamo nel silenzio assoluto, a studiarci attentamente.

Poi il suo gesto arriva improvviso ed inaspettato, Luce si lancia verso di me e mi abbraccia, stringendo le sue braccia attorno al mio collo e cominciando a singhiozzare. Rimango stordita e sbalordita, in un primo momento non ricambio l'abbraccio, ma poi allungo le braccia e le sfioro le spalle ossute.
«Ce l'hai fatta, Chantal! Sono così contenta di vederti!», esclama con un tono di voce profondamente felice.

Quando si allontana da me, sciogliendo l'abbraccio, rimango ancora un attimo ad osservarla, con la camicia da notte bianco latte e gli occhi azzurri come i miei che spiccano incorniciati dalla chioma arancione, riconosco la dolce bambina del mio sogno-ricordo, vedo in lei mia sorella, una persona di cui potermi fidare. «Tutto questo è reale o è soltanto un sogno?», domando, non capendo.

«Questo dovresti dirmelo tu, ma so che non sei molto preparato sull'argomento», ridacchia, aprendosi in un sorriso divertito. «Comunque, sei stata tu a metterci in contatto, è solo grazie alla tua forza se io sono qui. Stai sprecando molte energie, non credo che questo sogno durerà a lungo», mi rivela. «Hai pensato a me, non è vero?».

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