24. Scelte (Chantal)

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Ricordo che quella mattina fui messa alla prova, dai miei stessi migliori amici. Compivo quattordici anni e anche in quel giorno loro dovevano tendermi un tranello per farmi divertire e... divertirsi – inutile negarlo, scoppiavamo tutti a ridere come se non ci fosse un domani.

Erano belli quei tempi, quando eravamo tutti insieme e ancora all'orizzonte non c'erano problemi, quando eravamo spensierati e la nostra vita era divisa tra missioni nel Mondo Umano, studio ed esercizi fisici. Ricordo che mi applicavo il più possibile nelle acrobazie in aria, con piacere ricordo anche le gare di volo e quelle che facevo anche con Dan.

Quella mattina, comunque, non appena fui sveglia, mi sottoposero ad una caccia al tesoro, costringendomi ad eseguirla con il pigiama ed i capelli arruffati.
Accettai la sfida con un sorriso stampato sul viso, io non mi tiro mai indietro di fronte a nulla.

Il primo bigliettino era una delle prime domande di prova, se avessi risposto correttamente avrei trovato il secondo ed insieme ad esso uno dei miei compagni. Quando parlo di domanda di prova, intendo davvero una domanda di prova. Perché infatti era una domanda trabocchetto con la quale mi avrebbero testata.

Talvolta caddi, ma non mi feci male, perché riuscii comunque a trovare la strada per il biglietto successivo, ma la maggior parte delle volte, risposi correttamente, scegliendo la strada giusta.

Ed il bello fu che alla fine di tutto, ad attendermi, c'era un'enorme torta di compleanno che mangiammo tutti insieme.

E Theodore mi venne accanto, mi schioccò due baci sulle guance e mi disse delle semplici parole: «Chantal, in questo giorno per te così speciale volevo darti di persona gli auguri di buon compleanno. Sei importante per noi».

Sei importante per noi. Quelle parole, allora, non ero in grado di capirle e rimasi sorpresa, ma anche contenta.
Il capoclan mi aveva fatto un complimento, quello era un giorno importante per me. Gli sorrisi e lo ringraziai, ma come di consuetudine, la sera ripensai a quelle parole e non riuscii a comprenderle. Non era possibile che il capoclan avesse detto a me una cosa del genere, lui non si esponeva mai così tanto.

Nei giorni successivi lo dimenticai, non ci feci più caso, non lo raccontai a nessuno. Adesso mi è tutto più chiaro, adesso che conosco la verità, adesso che posso far luce sulla mia vita. E questo è ancora poco, io voglio saperne di più e quando tornerò in Paradiso, spero di ricevere le risposte a tutte le mie domande.

Intanto, però, devo far luce sulla realtà e su questo sentiero pietroso che ho davanti. Osservo la schiena di Dylan e i muscoli rilassati, delineati dalla maglietta nera aderente.

Sono rimasta indietro di nuovo, perché lui cammina troppo veloce e perché non ho intenzione di essere investita da un'ondata di freddezza.

Non mi sono nemmeno resa conto che il pensiero dei miei amici – che tra l'altro non vedo da quasi quasi quattro mesi –, mi ha fatto scendere una lacrima, dunque mi affretto ad asciugarmi gli occhi e a legarmi i capelli in un'alta coda di cavallo.

Quando all'improvviso, distratta e concentrata sulla mia chioma, vado a sbattere contro qualcosa di duro e di forte, che mi provoca un lancinante dolore alla testa. Quando alzo lo sguardo, di fronte a me si stanzia un vetro trasparente, impossibile da vedere.
Mi guardo intorno alla ricerca di Dylan, pronuncio più volte il suo nome, ma lui non è qui e quando punto gli occhi oltre il vetro, lo vedo nel bel mezzo del sentiero da solo, fermo, mentre gira su se stesso alla ricerca di qualcuno. Di me.

Urlo con tutto il fiato che ho in gola per farmi sentire, lui si volta più volte nella mia direzione, ma mi ignora, come se fossi trasparente. Urlo ancora il suo nome, ma capisco che lui non può sentirmi, né vedermi, mentre io posso sentire e vedere lui.

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