Andare avanti.

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"E così partirai domani?"
"Già, ho deciso" risposi, guardandomi allo specchio, cercando di sistemare i capelli.
"Come farai con il bambino?" Domandò zia Barbara preoccupata.
"Studierò e lo accudirò. Sarò una brava madre"
Zia annuì e mi abbracciò:"sei felice?"
Ripensai a quando tre mesi fa avevo lasciato Francesco e mi venne una sorta di nostalgia: erano passati soltanto tre mesi, eppure nessuno di noi aveva ricevuto sue notizie, se non qualche:"non preoccupatevi, sta bene" da parte di Sarah. Francesco mi mancava tanto, inutile negarlo.
Scossi la testa:"fa ancora male, ma devo andare avanti per lui", dissi accarezzandomi il ventre.
"Hai un grande coraggio. I tuoi genitori sarebbero orgogliosi di te" affermò mia zia, guardandomi con orgoglio.
"Sai, quando tu e la tua famiglia siete venuti a trovarmi qui, parlai con tuo padre per tutta la notte. Lui mi parlò di te e Giovanni. Descrisse Giovanni come un ragazzo dall'animo buono, nonostante la sua caparbietà in alcune situazioni. Parlando di te, ti definì come la sua piccola guerriera. Allora avevi solo sei anni, ma a sentire tuo padre pronunciare quelle parole, capii quanto fosse orgoglioso di te, Ross. Tuo padre ha sempre saputo che sei una combattente e credo che tu lo stia dimostrando ogni giorno."
A sentire quelle parole, mi commossi. Inutile negarlo, non mi ero mai rassegnata alla mancanza dei miei genitori. Reagivo in quel modo ogni volta che qualcuno mi parlava di loro o anche solo li nominava. Piangevo contro quelle circostanze crudeli che me li avevano portati via, che mi avevano portato via tutte le cose belle che avevo.
"Grazie di tutto zia, grazie" le sussurrai, abbracciandola e dandole un bacio sulla guancia. Lei ricambiò l'abbraccio, stringendomi ancora più forte. Credo non ci sia sensazione più bella di questa.
L'indomani mattina, presi l'aereo che mi avrebbe portata a Milano all'università. In aeroporto mi accompagnò Giovanni, che di lì a poco mi avrebbe raggiunta per studiare architettura.
"Sono contento per te, ricomincerai una nuova vita" disse.
"Spero solo di riuscirci" risposi.
Chiusi gli occhi e li riaprii solo quando sentii la voce di mio fratello:"Ross, svegliati, Ross" ricordai il momento in cui mi svegliò dai miei incubi, la prima volta che arrivammo a casa di zia Barbara. Era passato quasi un anno, eppure erano cambiate così tante cose che il tempo passato in quella casa, sembrava un'eternità.
"Non stavo dormendo"
"Siamo arrivati, scendi o perderai l'aereo"
Spinsi il mio trolley fino alle scale mobili che mi avrebbero portata nella zona dell'aeroporto adibita agli imbarchi, quando in lontananza vidi delle figure molto familiari.
"Ragazzi!" Esclamai.
"Pensavi ci fossimo dimenticati di te, eh?" Disse Leiner, ridendo e abbracciandomi.
Mi sentii subito sollevata nel vederli. loro mi erano rimasti molto vicini da quando ero tornata dall'Italia e avevano saputo della mia gravidanza. Si comportarono da veri amici, senza mai giudicarmi per quanto era successo.
Li strinsi ad uno ad uno e quando mi avvicinai a Lorenzo e lui aprì le sue braccia, mi strinsi forte a lui e incominciai a piangere.
"Ross, non devi piangere. Devi essere forte, capito? Forza e coraggio!" Mi sussurrò.
"Hai capito?"
Annuii, poi venimmo interrotti subito da una voce metallica:"ultima chiamata per il volo diretto a Milano..."
"Ciao ragazzi" li salutai, "ci vediamo presto!" Dissi commossa.
Dopo circa un'ora di volo, arrivai a Milano. Era molto più caotica di quanto ricordassi. Ero stata lì l'ultima volta con i miei genitori e rimasi affascinata da quella città.
Presi un taxi e mi feci portare davanti all'appartamento che avevo affittato, proprio vicino l'università.
Presi i miei bagagli e iniziai a sistemarmi all'interno della mia nuova casa, quando all'improvviso avvertii un dolore lancinante che si propagò per tutto l'addome e poi iniziai a perdere sangue.
Feci la prima cosa che mi venne in mente: afferrai il mio cellulare e chiamai mio fratello.
"Giò.."
"Ross, sei arrivata?"
"Si, ma sto morendo"
"Cosa?"
"mi fa male... Tutto. Sto...sto perdendo sangue" dissi ansimando per il dolore.
"Ross... Chiama un'ambulanza, non perdere altro tempo, chiama subito un'ambulanza!"
Con le mani che ancora tremavano, chiamai il 118 e con molta fatica fornii il mio indirizzo, ansimando per il dolore.
Rimasi sdraiata a terra per circa un quarto d'ora, quando sentii qualcuno aprire con forza la porta di casa mia e due assistenti che mi sollevarono da terra, mettendomi su di una barella. Poi il nulla.

Broken glass-Dear JackDove le storie prendono vita. Scoprilo ora