Prologo

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Prologo


Giugno 1916 – Verdun, Francia


L'afa si era impossessata della pianura di Verdun. Erano anni che il sole non martellava tanto intensamente il confine francese: le estati precedenti erano state piovose, fresche e ristoratrici. Quell'anno, invece, nemmeno il vento spirava lungo le linee delle trincee, ormai vuote.

L'assalto tedesco era scattato in mattinata, poco prima di mezzogiorno: i carri armati erano avanzati sul terreno arido, incuranti delle mine che facevano esplodere i cingoli, degli arti mozzati sul suolo insanguinato, dei soldati che cadevano morti lungo la via. Le trincee francesi avevano resistito stoicamente, impendendo ai crucchi di avvicinarsi troppo. La strategia militare della Germania era miseramente fallita e Verdun era nuovamente salva, sotto controllo dell'alleanza franco-inglese. I generali avevano sancito una tregua, per permettere la cura dei feriti e il trasporto dei cadaveri lontano dalla zona di scontro.

Kenny sbucò dalle latrine, allacciando la cintura con un secco movimento. Dopo il combattimento, si sentiva spossato e vuoto, come ogni volta. Si ritrovava spesso a domandarsi perché combattere: non era la loro guerra, quella! Che i francesi mangia-rane se la sbrigassero da soli. Non capiva perché degli inglesi dovessero combattere in terra straniera, per un Paese che sin dagli albori della storia non aveva fatto altro che rompere le balle ai sudditi di sua maestà. Poco male... ormai era lì! Lo avevano spedito al fronte due settimane prima, destinandolo alla prima linea: forse speravano di vederlo crepare alla svelta, ma era sopravvissuto egregiamente. Aveva una mira eccellente ed era uno dei migliori cecchini dell'esercito Inglese, oltre che una spina nel fianco per gli ufficiali: troppo indisciplinato, impossibile da controllare ed incapace di eseguire gli ordini. Mandarlo in trincea era parsa un'ottima idea: l'esercito britannico si sarebbe comodamente disfatto del suo peggior elemento. Sarebbe bastato attendere un proiettile o una mina tedesca e... puff... arrivederci Mr. Ackerman.

Contro le aspettative, però, Kenny era sopravvissuto fino ad ora. Spossato, stanco, logorato da quella guerra, ma ancora vivo... per di più, si era impegnato al meglio nel suo ruolo: il fucile non falliva mai un colpo. I soldati nemici cadevano come birilli quando li puntava e per loro non c'era mai scampo: uno sparo dritto in testa o nel cuore e via... nessuno spreco di proiettili, né di risorse umane. Da solo, Kenny era in grado di svolgere il lavoro di venti cecchini. Naturalmente, i suoi commilitoni gli erano grati: benché non ne avesse alcuna intenzione, la sua mira aveva salvato molte più vite di quante ne avesse falciate. Si era guadagnato rispetto e fedeltà tra i soldati, tanto che persino alcuni ufficiali lo invidiavano apertamente: come era possibile che quel grezzo contadinotto – capace solo a sparare alle volpi che gli rubavano le galline – fosse diventato il miglior tiratore dell'esercito inglese?

«Ehi!» una voce, alle sue spalle. Kenny si voltò, distraendosi da quei pensieri, e notando un ometto paffuto avvolto in una divisa da capitano «Che fai ancora qui? La tua squadra è stata destinata al recupero feriti e cadaveri» gli lanciò un paio di guanti da lavoro «Vedi di darti da fare»

«Seh signore...» rispose controvoglia, aspettando che il superiore si allontanasse per rifilargli un gestaccio. Che rottura di palle quella guerra. Non gli interessava e raccattare morti e mutilati non era proprio il suo sogno. Lui, i morti li creava soltanto, mica li seppelliva!

Sbuffò, infilandosi i guanti e sgusciando fuori dalla trincea. Aveva bisogno di tabacco da masticare. Avrebbe potuto chiederne al sergente Stark se gliene era rimasto da vendere, ma quello strozzino avrebbe preteso almeno dieci sterline per una manciata di fogli. E lui non incassava la paga da svariate settimane, ormai...

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