4. Menzogna

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4. Menzogna


Marzo 1942. Fronte Occidentale, Francia. Base tedesca.


Levi si alzò quando sentì la serratura scattare, scoccando una occhiata a Farlan:

«Sono qui» sussurrò, ma senza ottenere risposta. L'artigliere si era indebolito ulteriormente nella notte; era vivo, ma aveva perso ancora sangue. Le labbra erano sempre più pallide, gli occhi perennemente chiusi ed il respiro debole.

Rivolse nuovamente l'attenzione alla porta, ove si stagliava l'imponente figura del maggiore Smith, sorreggendo tra le mani un vassoio con un paio di scodelle fumanti:

«Possiamo parlare?»

Levi si limitò a scuotere il capo: che diamine voleva quel crucco? Non aveva capito che la risposta era inevitabilmente "no"? Non avrebbe ceduto, non si sarebbe lasciato scappare alcuna informazione importante, nonostante ci avesse riflettuto tutta notte: i sogni non gli avevano affatto portato consiglio. Aveva passato ore tormentate immaginandosi davanti alla Corte Marziale per tradimento; poi era apparsa Isabel, che lo accusava di non aver salvato Farlan: davvero uno stupido piano militare era più importante della vita di un amico? Non provava rimorsi o vergogna? Perché lo aveva abbandonato? L'Inghilterra, la Francia... non gli avevano mai dato niente. Combatteva per degli ideali giusti, ma erano pur sempre ideali inarrivabili, intoccabili da gente normale come lui. Per cosa combatteva? Per una gloria che mai sarebbe giunta, che sarebbe rimasta ad avvolgere persone molto più importanti: generali, colonnelli, sovrani e presidenti; ad un semplice caporale cosa sarebbe mai spettato? Un congedo, una pensione, forse un piccolo fazzoletto di terra da coltivare se fosse sopravvissuto. Altrimenti una anonima tomba nel cimitero monumentale di Londra. Davvero tutto ciò valeva più della vita di Farlan? Non lo sapeva. Si era lambiccato il cervello tutta la notte, ma senza trovare una risposta. Quale fiducia doveva tradire? Quella del suo Paese? Oa dei suoi amici? Molti bravi soldati erano morti per ottenere le informazioni necessarie all'Operazione Chariot. Poteva infangare così la loro memoria, soltanto per un capriccio personale? Sì, forse... Farlan era più importante, ma chi era lui per decidere le sorti di una persona o di un intero continente? Nessuno. Era bloccato in un limbo di incertezza e tutto ciò che aveva ideato era una semplice menzogna. Era rischioso, ma era l'unica possibilità: se i tedeschi lo avessero scoperto, l'avrebbero ucciso e anche per Farlan sarebbe stata la fine. Le loro vite erano legate ad una bugia. Doveva tentare: forse, per una volta la fortuna sarebbe stata dalla sua parte.

«Cosa vuoi?» apostrofò il maggiore Smith sin troppo duramente, osservandolo con disprezzo «Non abbiamo niente di cui discutere»

«Io credo di sì» vide Erwin entrare nella cella e richiudere la porta alle proprie spalle.

«Non ti arrendi mai? Ho detto che non so niente»

«Sappiamo entrambi che non è così» le ciotole vennero delicatamente posate al suolo, ad un paio di passi dal giaciglio «Mi servono informazioni. Le intercettazioni parlano di un attacco a fine marzo; è impossibile che tu non ne sappia niente»

Scosse ancora il capo:

«Non te lo direi comunque...» replicò testardo, incrociando le braccia con aria di sfida. Che si facesse pure avanti quel pomposo. Pensava di conquistarlo con un paio di scodelle di zuppa e delle gentili moine? Che illuso!

«Ti conviene parlare, Levi. O dopo di me... arriverà Weilman. Non sai di cosa è capace: ti caverà la verità dalla bocca con qualunque mezzo. Per favore! Sto cercando di essere accondiscendente e comprensivo. Non voglio farvi del male. Voglio solo quei dannatissimi piani.» un attimo di silenzio, prima che la voce profonda tornasse a riecheggiare «Come sta?» ed un cenno del capo all'artigliere ferito.

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