14. Confessione

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Marzo 1942. Territorio occupato, Nord della Francia. Dintorni di Lachelle.


Levi scivolò oltre la soglia, sedendosi accanto al letto. La stanza era piccola, ordinata... c'era qualche traccia di polvere qui e là, ma era troppo stanco per mettersi a spazzare. Aveva aiutato quel francese con il taglio della legna, caricando i ciocchi spaccati su un vecchio carretto. Non aveva spiccicato parola, neppure quando Auruo lo aveva rimproverato per il modo in cui stava posando il legname. Dopo due ore, si era finalmente concesso una pausa. Petra gli aveva preparato dell'acqua fresca e un tramezzino, che aveva prontamente ingoiato prima di passare nella camera degli ospiti.

Il tedesco era seduto sul giaciglio con un libro tra le mani e delle briciole di biscotti sparse sulla coperta. Sembrava totalmente perso, con lo sguardo incollato alle pagine ed un'espressione crucciata sul volto. I capelli biondi a stento nascondevano la fasciatura che gli circondava la fronte, mentre il petto, costellato di qualche piccolo graffio, sbucava dal lenzuolo spiegazzato.

Non poté fare a meno di notarlo: le spalle massicce scivolavano gradualmente verso le braccia, sufficientemente piegate da lasciar intravedere il solco dei muscoli. Lo stesso disegno lineare che si scorgeva sul torace e scendeva lungo l'addome. Curioso come celasse il tutto sotto l'ordinaria uniforme nera. Dopo tutto, la giacca lo snelliva: non che fosse grasso, ma risultava meno imponente con la divisa indosso, per quanto...

...Prestante.

Ma che diavolo stava pensando? Scacciò quei ragionamenti: non era il momento adatto per ponderare sulle spalle di Erwin. Stiracchiò cautamente le gambe, prima di sussurrare:
«Noto che ti sei ripreso»

Sbuffò, cercando di riordinare la propria mente; era passato di lì perché stanco di impilare legna e di sentire lo sbraitare senza senso di Auruo. Per sfuggire alla quotidianità e lasciare alla padrona di casa la possibilità di preparare il pranzo con tutta calma. Aveva bisogno di un po' di pace e tranquillità e quella sembrava l'unica stanza adatta.

«Sì, mi sento meglio. Il mal di testa sta scemando. Petra mi medicato: la ferita non è profonda, ma occorrerà qualche giorno perché si rimargini»

Nessuna ferita poteva guarire con uno schiocco di dita. Persino le sue non si erano ancora risanate: sulla tempia capeggiava una vistosa crosta brunastra, ma sottile e quasi pronta a staccarsi, mentre il taglietto sulle labbra era ancora lì, pronto a sanguinare su avesse parlato troppo velocemente. La caviglia sinistra  non gli doleva più e riusciva a muoverla senza difficoltà.

«Vuoi fermarti qui? Non credo avranno problemi ad ospitarci» sussurrò, la l'altro scosse prontamente il capo.

«Troppo rischioso. A quest'ora Weilman avrà intuito la nostra fuga. Mezza caserma sarà già in giro a cercarci. Non possiamo tardare»

Per un attimo si era dimenticato di Herr Kapitan e della sua ossessione. In fondo, quella casa sperduta tra i campi era un'oasi di pace, tanto desiderabile da indurlo ad accantonare i loro problemi. Raggiungere Parigi, per esempio, era un nodo che non era riuscito a risolvere. La contadina aveva parlato di una corriera in partenza dal paese vicino, ma.. non sarebbe stato troppo vistoso? Se qualcuno li avesse riconosciuti? Dovevano essere attenti e cauti e tenere gli occhi ben aperti.

«Cosa faremo, una volta che saremo alla capitale? Hai un piano?»

«Non proprio... Petra mi ha parlato di alcuni conoscenti che potrebbero affittarci una soffitta. Potremo nasconderci lì e poi trovare un modo per proseguire»

«Sono persone di fiducia?»

«Lo spero. Ha detto che dirigono un ufficio postale e che invierà loro un telegramma per avvisarli del nostro arrivo. In realtà, non credo che abbiano grandi simpatie, questi... e a giudicare dai nomi, credo siano tedeschi»

«Tedeschi? Lo dici come se fosse una buona notizia! Metà dei tuoi connazionali ci dà la caccia, te ne sei dimenticato?»

Un piccolo sbuffo ed una risatina:
«Non tutti stimano il nazionalsocialismo, anzi... come movimento è controverso: ha affascinato le masse, i giovani... ha affascinato anche me, all'inizio; viceversa molti non si sono lasciati incantare. Credo che siano soltanto degli approfittatori, questi due: gente che non bada alla cittadinanza, agli orientamenti politici, ma solo ai soldi. In questo caso, per noi è una grandissima fortuna»

Incontrare degli strozzini non era mai una "grandissima fortuna", ma forse quell'aggancio avrebbe potuto salvarli. In ogni caso, dovevano accontentarsi. Allungò la mancina, cercando di acciuffare uno dei biscotti rimasti sul davanzale; lo mordicchiò piano, pensieroso.

«Ti posso chiedere una cosa personale? Insomma, non sei obbligato a rispondermi, se non te la senti.» sussurrò, tornando a spiare lo sguardo azzurro, ora tinto di una nota curiosa «Come mai ti sei avvicinato tanto al nazismo? Non mi sembri il tipo che si beve qualunque stupidata venga trasmessa dai media. Mi sembri razionale, attento e... non capisco come tu abbia fatto a ...crederci!»

Lo scorse abbassare il capo, meditabondo. Forse quella domanda era inopportuna: Erwin non era pronto a riscattare la propria coscienza, ad ammettere le proprie colpe o a scavare in un passato ancora troppo fresco e doloroso. Si pentì immediatamente d'avergliela posta:
«Non importa, come non detto!»

«No. È giusto che tu lo sappia; dopo tutto, siamo compagni di viaggio.» colse una pausa ed un leggero sospiro; parlarne evidentemente era più complesso del previsto «Ero giovane, Levi. Non è una attenuante, lo so. Molti ragazzi sono rimasti imbrigliati dalle promesse del nazionalsocialismo, ma molti altri si sono sottratti, hanno combattuto, si sono isolati ed estraniati. Io, semplicemente, non ne ho avuta la forza. Ricordo ancora le serate al circolo, con gli altri: bevevamo birra, mangiavamo salsicce e torte salate fino a mezzanotte, scambiandoci idee e pareri. La nostra amata Germania era in ginocchio: la tassazione elevata, la moneta completamente svaluta, la disoccupazione incontrollata. Ci credi, se ti dico che i miei vicini di casa avevano tappezzato una stanza con delle banconote perché costava meno che comprare della carta da parati? Eravamo ridotti allo stremo. Volevamo tutti fare qualcosa per risollevare il nostro Paese, per restituirgli quella dignità che la guerra aveva tolto.

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