Marzo 1942. Fronte Occidentale, Francia. Base tedesca.
Hanji si alzò di scatto, abbandonando la scrivania non appena colse un vigoroso bussare. Il sangue! Finalmente era arrivato! Accidenti, proprio ora che si accingeva al suo caffè pomeridiano; il nero espresso avrebbe dovuto aspettare. Scivolò velocemente attraverso l'unica camera dell'infermeria, fermandosi accanto alla branda che ospitava l'Inglese.
«Non ti preoccupare. Sei in ottime mani Farlan.» sussurrò, rimboccando le coperte al ferito e poi rimettendosi a correre verso l'ingresso
«Arrriiiiivooooo» chiocciò, spalancando immediatamente la porta «Entrate, prest...» ma le parole morirono sulle sue labbra. Non erano gli infermieri. Dove si erano cacciati quelli? Il sangue era urgente, occorreva procedere subito con la trasfusione! D'accordo, non era una scienza esatta... anzi, era ancora in fase di studio e di sperimentazione, ma era l'unica speranza che quel ragazzo avesse per campare. Si aggiustò la montatura sul naso, spiando oltre le lenti la figura piantata sull'uscio: uomo alto e nerboruto, spalle larghe, capelli scuri e barba incolta. Occhiaie attorno allo sguardo porcino. Una visita più che sgradita!
Indietreggiò di un passo, limitandosi ad un breve saluto militare:
«Herr Kapitan» che seccatura Weilman. Che diavolo voleva? Ogni volta che passava dall'infermeria si lasciava dietro una scia infinita di furti: rubava medicinali, adducendo fossero per una scorta personale, bendaggi e, soprattutto, oppioidi. L'armadietto con la morfina veniva costantemente saccheggiato. Che fosse passato per quella?
«Riposo, Militararzt. Non mi occorrono farmaci, oggi» quasi le avesse letto nella mente.
Hanji tirò un sospiro di sollievo:
«Molto bene, signore. A cosa devo, quindi, la vostra visita?» l'ufficiale non capitava mai lì per caso: sicuramente voleva qualcosa. Un favore, forse?
«Ho saputo che avete ricoverato il prigioniero inglese, Church. È corretto?»
«Sì, signore.» mentire era inutile ed avrebbe soltanto scatenato l'ira del capitano.
«E che avete domandato l'autorizzazione per una trasfusione. Avete richiesto delle sacche di sangue zero negativo. Vi è andato di volta il cervello, Fraulein?»
Non le piaceva affatto quel tono. Come si permetteva quello zotico di criticare le sue scelte? Non era un medico e nemmeno un infermiere. Era solo una spina nel fianco, che tutti dovevano purtroppo sopportare. Che cosa pensava? Di venire nel suo ospedale a dettare legge? Povero illuso! Mai e poi mai si sarebbe piegata ai suoi capricci.
Strinse i pugni nervosamente, celando le mani dietro alla schiena: non doveva farsi vedere irritata o intimorita, o Weilman avrebbe colto l'occasione per metterla alle strette. Affinò, invece, un distratto sorriso sulle labbra sottili:
«Niente affatto. Sto solo svolgendo il mio lavoro»
«Lavoro? Il vostro lavoro comprende salvare traditori e spie nemiche?»
«Sono un medico, quindi... sì!»
Quella risposta parve spiazzare il capitano, per un istante. Pallone gonfiato!Si era immaginato di poter entrare nel suo territorio e spadroneggiare a destra e a manca? Lei non era uno di quegli sciocchi soldatini pronti a pendere dalle sue labbra. Era una donna matura, con una carriera sudata alle proprie spalle: gli studi, la discriminazione sessuale, la fatica di superare ogni esame per poter accedere all'università. Anni di lotte, di sere spese a combattere le ingiustizie maschiliste, di pomeriggi passati col naso incollato ai libri. Se era arrivata sin lì, era soltanto merito suo. Non aveva avuto bisogno di agganci; non era mica figlia di un generale, come quell'imbecille. Non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa
«C'è altro?» continuò, sfoggiando ancora una falsa calma. Se avesse potuto, avrebbe spaccato un paio di beute in faccia a quell'idiota.
«Cos...? Naturalmente! Non siete autorizzata a compiere una trasfusione, Fraulein. Vi ordino di cessare immediatamente questa follia!»
«Sbagliate! Il maggiore Smith mi ha autorizzata. Ho tutte le competenze ed il sostegno per procedere. Ve lo richiedo, dunque: c'è altro?»
Lo vide diventare paonazzo: l'ufficiale non era incline ad accettare una sconfitta, men che meno da una donna che disprezzava e maltrattava; che utilizzava soltanto come farmacia di turno. Ridicolo... internamente, Hanji gioì. Era una piccola vittoria, uno smacco gratuito per quel borioso. Chissà, magari gli avrebbe insegnato ad abbassare la cresta ed a volare basso; ad imparare un poco di umiltà e rispetto per gli altri. Oppure no... forse si illudeva soltanto che le cose potessero cambiare così facilmente. Scorse l'indice paffuto putare al suo naso, come una sorta di ridicola provocazione:
« Militararzt, vi avverto, non osate sfidarmi! State giocando con il fuoco. Fermate questa follia.»
«No! Non avete alcun potere qui... temo di dovervi chiedere di lasciare questa stanza!» era troppo, decisamente. Come osava minacciarla? Raggiunse la porta in un paio di falcate, indicandola all'uomo «Fuori» scandì, ma il capitano non si mosse. Se lo aspettava. Noioso piccolo uomo! Incapace di vivere con dignità all'ombra degli altri. Semplicemente vergognoso, viscido ed irritante. Le stava rovinando la giornata. Non poteva lasciarsi distrarre; doveva rimanere concentrata: una trasfusione non era un compito semplice. Richiedeva pazienza, manualità e precisione. Respirò a fondo, tentando di recuperare la calma «Non siete gradito qui...»
«Non potete cacciarmi! Sono un vostro superiore!»
«Che sta intralciando il lavoro di un medico...»
«Stupida puttana!» non badò all'insulto, anche se le parole successive la colpirono in faccia come un forte schiaffo «Lo sai cosa stai facendo? Stai destinando prezioso sangue ariano a questa feccia bastarda. Te lo vieto! Non puoi sprecare delle sacche di zero per un nemico, Potrebbero servire per i nostri uomini, per i soldati al fronte, per i feriti tedeschi. »
A quello non aveva pensato: presa come era dall'idea di sperimentare, di provare una trasfusione per la prima volta, non aveva assolutamente considerato quanto potessero essere importanti quelle sacche su cui stava per mettere mano; Weilman aveva ragione? In parte... in effetti, il sangue in tempo di guerra valeva quanto l'oro. Era una merce rara, che avrebbe dovuto proteggere e conservare e non sprecare per un pallido Inglese in fin di vita. Quel sangue avrebbe potuto salvare soldati tedeschi: fanti moribondi, piloti abbattuti, ufficiali feriti. Persone meritevoli d'essere salvate? Non lo sapeva. Soltanto il tempo avrebbe potuto deciderlo e... lei non poteva aspettare! Smaniava alla sola idea: la prima donna medico a sperimentare una trasfusione. Sarebbe stato un grande risultato personale. In effetti... lo stava davvero facendo per curare il paziente? O solo per amore della scienza e del proprio orgoglio? .... Difficile a dirsi! Forse entrambe le cose: se aveva la possibilità di salvare una vita e, contemporaneamente, raggiungere la gloria nella comunità scientifica? Oh, già si vedeva a Berlino, immersa in conferenze e relazioni! Avrebbe stretto la mano ad illustri colleghi e le avrebbero chiesto di autografare libri e... nah, forse no. Non sarebbe mai successo. Avrebbe ottenuto soltanto invidie, sussurri sgarbati, pettegolezzi gettati dalle malelingue. A molti avrebbe dato fastidio: una donna ad effettuare con successo una trasfusione. Un'altra ottima ragione per provarci! Al diavolo i soldati tedeschi. Al momento, non c'era nessun altro candidato alla trasfusione e quell'inglese era il paziente perfetto: giovane, vigoroso, mortalmente ferito. Lo avrebbe trasfuso e suturato la ferita. Poi...
«Una vita è pur sempre una vita.» rispose, una nuova risolutezza nella voce «Ed io sono un medico, prima di tutto. È mio dovere provare a curarlo.». Si, come scusa era accettabile: salvava capre e cavoli. Il proprio onore, il lavoro ed il paziente.
Weilman fece una cosa del tutto inaspettata: in un attimo, Hanji si ritrovò ad osservare la bocca nera di una pistola, rivolta alla propria testa. Il capitano era impazzito? Voleva davvero freddarla lì, nella sua infermeria? Cosa doveva fare? Non le era mai capitato di vedersi minacciata con un'arma, non così da vicino. Batté le palpebre, perplessa: le vennero in mente diverse opzioni, in un baleno, ma nessuna valida. Poteva urlare e chiedere aiuto, ma sarebbe servito? Ne dubitava: gli infermieri non sarebbero mai arrivati in tempo per fermare quella follia. Poteva cercare di scappare e rischiare di ritrovarsi la schiena perforata dai proiettili oppure scendere a patti con l'ufficiale, abbassare il capo ed ammettere la sconfitta. Avrebbe avuto salva la vita, così, ma... non se lo sarebbe mai perdonato. Era stanca di dover chinare la testa davanti ai prepotenti, ai soprusi, a quella mania di potere che circondava tutti. Quello era il suo momento! Non se lo sarebbe lasciato sfuggire.
Avanzò di un passo, poi di un altro, arrivando a poggiare la fronte alla canna della Mauser, sforzandosi di ignorare il martellare del proprio cuore e quel fischio secco ai timpani. Era pazza, oh si! Non lo dicevano tutti? Era il momento di dimostrarlo. Sogghignò, sfoggiando la dentatura imperfetta:
«Sparate, avanti!» sussurrò, una provocazione nella voce distorta «Fatelo, Herr Kapitan. Vi sentirete meglio dopo. Soddisfatto, magari... vi sentirete migliore, un vero uomo. In fondo, sono soltanto un dottore che cerca di svolgere il suo lavoro, di salvare vite indegne, di sprecare sangue ariano. Sparate, Herr Kapitan. Ho preso la mia decisione, sicuramente sbagliata. Vi sto sfidando, non vedete? Non vorrete farvi sfidare da una donna» lo vide tentennare. Premette ancora di più la testa sull'arma. «Premete questo maledettissimo grilletto. Fatelo! E poi... scrivete un rapporto, dite a Berlino come avete ucciso l'unico medico della base. Prendete la penna e scrivete all'Alto Comando di inviarvi un altro dottore, perché il precedente è rimasto tragicamente ucciso dal fuoco amico. Sono certa che i generali saranno lieti di ascoltarvi e di appoggiare le vostre scelte. "Che uomo singolare" diranno di voi "Che uccide l'unica donna medico della nazione"; la sola stanziata in una base militare, il cui peccato è stato lo zelo per il proprio lavoro, l'amore per la scienza e la cocciutaggine nel salvare una vita. Vi osanneranno, credete? O forse il vostro nome verrà scritto nei registri degli ufficiali condannati alla morte per insubordinazione.» fece una pausa, godendosi lo spettacolo: Weilman era sconvolto. Evidentemente, non si aspettava una reazione del genere. «Credete d'essere nel giusto? Allora sparate, Herr Kapitan. Sparate, maledizione!» scattò infine, avanzando di un altro passo.
Weilman abbassò immediatamente la Mauser, tornando a nasconderla nella fondina. Il volto dell'uomo era indecifrabile: conteneva una sfumatura di paura ed una di resa, come se nemmeno un ufficiale potesse combattere contro la determinazione di una donna.
«Sta bene, Fraulein» la voce del capitano era tremante ed incerta «Procedete, se lo... ritenete indispensabile...» balbettava? «Ma non crediate sia finita qui! Sporgerò le mie rimostranze a Herr Major. Vi... vi pentirete di non avermi ascoltato!»
Con quelle parole, Wilman le diede le spalle, allontanandosi a passo spedito dall'infermeria. Hanji lo seguì con lo sguardo, senza riuscire a cancellare il largo sorriso dal suo volto. Aveva vinto. Ora... si meritava un buon caffé.
***
Hanji si accasciò esausta sulla seggiola, sfilando i guanti e frizionandosi la fronte con una salviettina pulita. La trasfusione era andata a buon fine ed anche l'intervento: la sua squadra aveva rimosso frammenti di lamiera e schegge metalliche dall'Inglese, suturando poi lo squarcio sull'addome e fermando l'emorragia. Il respiro si era regolarizzato immediatamente ed anche il battito era tornato a livelli accettabili. Farlan ce l'avrebbe fatta, senza dubbio. Era giovane, forte ed il suo corpo aveva immediatamente risposto alle prime cure. Lo avrebbero tenuto sotto morfina, quella notte, abbassando gradualmente la dose sino all'alba. A quel punto avrebbero provato a svegliare il paziente ed osservare le sue reazioni.
Era stanca sì, ma soddisfatta. Avrebbe desiderato concedersi una lunga notte di riposo, ma non poteva abbandonare il suo esperimento. Quel ragazzo, che giaceva inconsapevole a pochi lettini di distanza, era il suo più grande successo. Il suo passaporto per la comunità scientifica, per la gloria eterna dei libri di storia, per la riconoscenza e l'ammirazione dei colleghi. Non poteva crollare nel sonno finché non fosse stato completamente fuori pericolo. Se qualcosa fosse andato storto, se la morte fosse comunque sopraggiunta malgrado l'intervento e i farmaci... avrebbe perso tutto: il suo lavoro, la fede nella scienza, il prestigio quasi raggiunto. Farlan era, ormai, il suo tesoro più prezioso. Lo avrebbe protetto ad ogni costo.
Poggiò il capo alla scrivania, respirando il profumo fragrante dell'inchiostro e della carta intestata. Doveva trovare un modo per rimanere sveglia. Si sarebbe fatta portare dell'altro caffè. Non una tazzina, ma thermos intero! E... avrebbe scritto un biglietto ad Erwin. Era tardi, ma avrebbe spedito un soldato a portarglielo...o, semplicemente, infilarglielo sotto la porta.
Vergò frettolosamente un paio di righe:
"L'operazione è andata bene: il paziente è stabile e Stiamo aspettando che si risvegli. "
Non accennò alla discussione con Weilman: non aveva senso caricare ulteriori pensieri sulle spalle del Maggiore. Gliene avrebbe parlato alla prima occasione, magari in mensa. Oppure quando fosse passato con le birre che le doveva, già...
Consegnò il biglietto alla sentinella, tornando poi alla scrivania, affondando pesantemente nella seggiola scricchiolante.
***
Il soldato attraversò i corridoi limitrofi, salendo le scale per raggiungere il piano ospitante le stanze degli ufficiali. Strinse tra le dita il bigliettino di Zoe, ripiegandolo attentamente dopo una rapida lettura.
Scivolò lungo un passaggio, ignorando i ricchi quadri e gli arazzi, accontentandosi della luce fioca della propria torcia. Un'altra rampa di gradini, oltrepassando un'ampia porta a doppio battente, ove capeggiava la targhetta dorata: "Major E. Smith" dirigendosi, invece, poco oltre...
Svoltò in un corridoio secondario, lasciando attutire i propri passi dai pesanti tappeti. Contò ancora qualche metro, prima di individuare un secondo uscio, più sobrio del precedente; sull'unica porta, intagliata nel legno scuro, si poteva leggere distintamente: "Kapitan K. Weilman".
La sentinella si chinò, facendo scivolare il bigliettino sotto l'uscio; tornò, poi, alle proprie mansioni, sfregandosi le mani all'idea della piccola gratifica che, senza dubbio, sarebbe giunta il giorno seguente.
***
Angolino: Buonasera parte 2. Ho deciso di riprendere questo progetto a tempo perso; in realtà, mi ero ripromessa di finire questa ff. è scritta quasi interamente, devo solo stendere i capitoli finali, ma... tra il tempo e tutto il resto, è un po' (tanto) passata in secondo piano. Me ne dispiaccio perchè tengo a questo lavoro. Ho pensato di sfruttare wattpad per correggere i capitoli già stesi e continuare la pubblicazione di volta in volta. So che son passati tre anni, ormai... ma la speranza è l'ultima a morire, no?
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Operazione Chariot
FanficFrancia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importa...