26. Un vecchio amico

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Marzo 1942. Territorio occupato, Nord della Francia. Dintorni di Le Blanc.


Erwin scoccò una occhiata al compagno di viaggio, raggomitolato sul sedile vicino. Avevano abbandonato Moriers la sera prima, guidando tutta la notte, senza nemmeno concedersi una sosta. L'aviatore si era rintanato in un cupo silenzio, la mente persa in troppi pensieri e sensi di colpa per poter essere lucida. Aveva cercato di confortarlo, di strappargli anche solo qualche parola, ma Levi si era chiuso completamente in se stesso, cedendo infine al sonno agitato e lasciandolo solo al volante.

Dopo aver sbagliato innumerevoli svolte e deviazioni, il camion era infine tornato sulla giusta via. Il maggiore si era limitato a seguire le scarse indicazioni per Le Blanc. Via via che si avvicinavano al confine con la Repubblica di Vichy, gli spari dei mortai ed il gracchiare dei carri armati tornavano a farsi sentire; la guerra si combatteva ancora lungo tutto il fronte: i soldati nazisti cercavano di spaccare le linee della resistenza e di penetrare nel territorio ancora indipendente; per contro, gli Alleati cercavano con ogni mezzo di respingere quell'invasione.

Erano mesi, ormai, che la situazione si era stabilizzata in quella sorta di ridicolo tira e molla: ogni volta che i tedeschi conquistavano un fazzoletto di terra, ne perdevano un altro nel raggio di un chilometro. Era snervante: nessuna delle due fazioni riusciva a prevalere sull'altra, destinando il cuore della Francia ad una sanguinosa ed infinita battaglia, le cui eco a stento raggiungevano le grandi città.

Erwin scrutò oltre il parabrezza, scorgendo il sole sorgere in lontananza: i pallidi raggi indoravano un cielo ancora coperto da nubi dense e cariche, sforzandosi di fare capolino negli sprazzi ancora scuri. Che ore potevano essere? Le sette, forse. Attorno alla strada, vi era una infinita distesa di brulle collinette, punteggiate da campi che si intervallavano a boschi di conifere. Alcuni abeti protendevano i rami sin sulla carreggiata ed il veicolo produceva dei secchi tonfi quando li urtava.

«Manca molto?» una voce impastata lo riscosse, obbligandolo a spostare l'attenzione alla propria destra. Levi lo stava fissando, un'aria malinconica incastrata nello sguardo ancora provato.

«Siamo quasi arrivati» replicò, prendendo una stretta curva ed inoltrandosi tra due ripe scoscese di terra battuta.

«Perché siamo passati di qui? Non abbiamo allungato il giro?»

«Sì, ma era la via più sicura; e... c'è una persona che devo incontrare»

«Chi?»

La curiosità del compagno era lecita. In fondo, non aveva motivo di tacere - non a così poca distanza dalla meta. Non era sicuro che Levi avrebbe compreso la necessità di quella deviazione: avevano bisogno di qualcuno che li aiutasse ad attraversare le linee e raggiungere la Repubblica senza danni e senza rischiare la cattura.

«Un...» fece per aggiungere, ma un colpo improvviso coprì le sue parole.

Colse uno scoppio ed il volante tremare sotto le dita robuste. Si sforzò di trattenerlo, mentre l'automezzo sbandava lungo la carreggiata. Schiacciò a fondo il freno, bloccando le ruote con un secco stridere. Allungò il braccio destro e lo premette istintivamente contro il petto dell'inglese, impedendogli di ruzzolare contro il malmesso cruscotto.

«Abbiamo forato?» la voce di Levi sembrava incerta, come se non fosse convinto di quell'ipotesi.

Scosse il capo, limitandosi ad un imperioso: «Resta sul camion».

«Che cazzo pensi di fare?»

«Resta e basta» sibilò, sfilando le chiavi dal quadro e sfruttandole per serrare entrambe le portiere. Scorse l'altro abbassare un finestrino e sbuffare poco dopo:

«Perché mi hai chiuso dentro?»

«Perché so che non mi darai retta. Rimani lì, per favore»

Si allontanò di qualche passo, sforzandosi di ignorare il borbottio di protesta oltre le proprie spalle. Aggirò il camion, controllando lo stato delle gomme: la posteriore destra era stata fatta saltare; lo pneumatico presentava uno stretto foro sulla faccia laterale. Si guardò attorno, controllando le vicine collinette: alla tenue luce dell'alba, non riusciva a scorgere molto. Alcuni cespugli ondeggiavano alla brezza fredda del mattino, mentre lungo il dorso delle montagnole si intravedevano solo alberi rachitici.

Era ridicolo pensare che non vi fosse nessuno: la gomma non era esplosa da sola. Chiunque vi fosse, era ben nascosto ed appostato; e, senza dubbio, lo stava ancora osservando. La sua mente scartò immediatamente l'opzione Weilman: per quanto fosse veloce, il capitano non poteva averli inseguiti fin lì basandosi solo su delle semplici tracce; avrebbe potuto chiedere a dei testimoni, però... qualche contadino che li aveva visti passare? Era probabile, ma non coincideva affatto con la tempistica. Ammettendo che Herr Kapitan fosse nuovamente sulle loro orme, era impossibile che li avesse preceduti; e, in ogni caso, i nazisti non si sarebbero presi la briga di nascondersi dietro arbusti e tronchi rinsecchiti.

Sollevò cautamente le braccia, senza smettere di guardarsi attorno.
«Nous sommes anglais!­» mentì, mantenendo il tono inalterato «Nous sommes en train de chercher la resistence fraçaise» stiamo cercando la resistenza francese.

«Pourquoi?» Perché?

«Nous devons rejoindre la république de Vichy» dobbiamo raggiungere la repubblica di Vichy.

Notò tre uomini scivolare lungo i pendii ed avvicinarsi. Due imbracciavano dei fucili che puntarono immediatamente su di lui, mentre l'altro si avvicinava alla cabina del camion, tenendo sotto tiro l'inglese. Si sforzò di tenere le mani alzate ed in vista, senza lasciar trapelare il nervosismo: non era sicuro che cercare la resistenza fosse stata una mossa saggia; forse avrebbe dovuto cercare di cavarsela da solo e attraversare il confine con i pochi mezzi di cui disponeva. Che diamine gli era saltato in mente? Si era illuso di risolvere molto più facilmente la questione; magari di trovare al primo colpo la persona che stava cercando. Invece, la situazione aveva preso una piega inaspettata:
«Nous n'avons pas de mauvaises intentions» non abbiamo cattive intenzioni.

«Inglese a bordo di un camion tedesco? Qualcosa non quadra» qualcuno aveva cambiato il registro della conversazione, passando ad un inglese stentato; l'accento trasudava da ogni sillaba, dettata con un tono troppo sospettoso. Si sporse a guardare oltre le proprie spalle. Una figura si era avvicinata, avvolta da un lungo mantello color senape. Il cappuccio non era sufficiente a coprire i lineamenti femminili del viso e nemmeno uno sparuto ciuffo di capelli color platino che, dalla fronte, scendeva a sfiorare il colore verdastro delle iridi.

«Lo abbiamo rubato» Erwin tornò all'inglese, rivolgendosi al nuovo interlocutore «Non siamo pericolosi. Stiamo solo cercando un modo per raggiungere Limoges»

«Perché?»

«Il mio compagno» indicò la cabina del camion, ancora sotto tiro «è un pilota della Raf ed ha informazioni importanti da riferire ai suoi generali. Il suo aereo è stato abbattuto e...»

«Credete che qui troverete aiuto?»

«Ci hanno detto che potete aiutarci a superare il confine»

«Chi ve lo ha detto?» il tono della donna si era fatto sempre più indagatore e malfidente, quasi stentasse a credere a quel racconto. Inoltre, l'ultima domanda risultava parecchio insidiosa: come spiegarle che la soffiata proveniva niente meno che dal comandante della Gestapo di Parigi?

Nile era stato accorto quando lo aveva salutato davanti al sidecar. Gli aveva indicato l'esatto punto in cui trovare i ribelli e, soprattutto, gli aveva sussurrato il nome di un vecchio compagno d'armi. Qualcuno che Erwin non avrebbe mai immaginato di poter rivedere.

«Un amico comune, immagino» forse rivelare il nome non era una mossa saggia. Decise di rimanere sul vago «Sto cercando Mike Zacharias. So che è qui»

«Chi te lo ha detto?» ancora quella spinosa domanda.

Scosse il capo:
«Lo dirò quando lo vedrò»

«Sai che non sei nella posizione di contrattare, vero?»

Ne era consapevole, ma non era disposto a cedere: parlare di Nile avrebbe potuto comprometterli definitivamente e destare troppi sospetti. Dondolò il capo, limitandosi ad un:
«Lo so, ma voglio prima parlare con Mike»

«Non rientrerà prima di sera»

«Aspetterò» un secco click lo costrinse ad abbassare lo sguardo. La francese aveva estratto una Mauser e la stava puntando all'altezza del suo stomaco.

«Forse non ti è chiaro...» la sentì ringhiare «Qui non siamo in uno studio medico o dal barbiere. Non c'è niente da aspettare! Ti concedo una sola possibilità per risalire su quel maledetto camion e smammare. Altrimenti...»

«Ho detto che aspetterò» tornò a puntare gli occhi sul volto della giovane, arricciando un sorriso sicuro sulle labbra. Non aveva assolutamente intenzione di perdere quel piccolo scontro: andarsene equivaleva ad una silenziosa sconfitta, uno smacco che non avrebbe potuto reggere; inoltre, non avrebbe trovato nessun altro disposto ad accompagnarlo oltre il confine: Mike era il solo di cui si potesse fidare e l'unico abbastanza folle da supportarlo in quell'impresa. «Vuoi spararmi? Perché temo che Mike preferirebbe vedermi vivo. Non credo sarebbe d'accordo...»

La canna dell'arma gli premette nuovamente contro la pelle:
«Come ti chiami?»

«Erwin Smith»

La donna ebbe un sussulto; nelle iridi si palesò un'ombra disgustata, che si cancellò immediatamente, sostituita da una nuova ed imperturbabile espressione:
«Non mi ha mai parlato di te»

«Mike non chiacchiera moltissimo, te ne sarai accorta» gli sfuggì una leggera ironia che la donna non parve cogliere. Sentì la pressione all'addome diminuire lentamente.

«Bene. Viaggerete sul retro del camion. Vi porteremo con noi, ma dovrete aspettare. Una mossa falsa o una parola fuori posto e vi faccio saltare le cervella. Sono stata chiara?»

«Trasparente, Madame» abbassò cautamente le braccia, inserendo soltanto due dita nella tasca della giacca scura «Le chiavi» disse, tendendole alla giovane, che gliele strappò di mano.

«Salite e non fiatate. I miei uomini vi terranno d'occhio.» furono le ultime parole della francese, poco prima che sparisse in direzione della cabina di guida «Marcel, sbrigati a cambiare la ruota. Abbiamo fretta!»


***


Erwin allungò le gambe, cercando di rilassare la schiena contro le piastrelle della parete. Non aveva idea di dove fosse, ma il pavimento liscio e freddo suggeriva una stanza da bagno o qualcosa di simile. Durante il tragitto in camion li avevano bendati e, da quel momento, aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio. Aveva contato alcune svolte, un paio di salite, ma poi tutto si era confuso. Non era riuscito a tenere il conto dei minuti e si era arreso dopo aver cercato di chiedere informazioni: dove li stavano portando? Le Blanc era molto lontana? Quando avrebbe rivisto Mike? Non aveva ottenuto risposte.

Il mezzo aveva poi frenato bruscamente in uno spiazzo sterrato e li avevano fatti scendere: la suola degli stivali aveva prodotto un sinistro scricchiolio, quando li avevano spinti oltre l'aia, dentro una costruzione che sapeva di muffa e stantio. Levi, naturalmente, si era lamentato, ma nessuno gli aveva dato retta. Li avevano costretti a salire una decina di gradini, portandoli al piano superiore e introducendoli in una sala gelida. Le guance erano rimaste sferzate da uno spiffero insistente, segno che una finestra era aperta oppure priva di vetri.

Li avevano fatti sedere a ridosso di un muro, legando i loro polsi ad un tubo ruvido ed arrugginito, che correva ad un paio di spanne dal pavimento.

Erano rimasti soli. Dei rumori provenivano dal piano inferiore dove supponeva si fossero ritirati i francesi. Nella stanza, tuttavia, non si udiva altro suono che il borbottare incessante dell'aviatore.

«Smettila di lamentarti» il maggiore piegò il capo a sinistra, dove coglieva ancora i sussurri irritati e quegli inutili tentativi di liberarsi «Non risolverai nulla»

«Immagino che, al contrario, il tuo dolce far nulla sia la scelta migliore, vero?» percepì un vibrare della tubatura, seguito da una imprecazione a denti stretti «Avevi previsto anche questo, nei tuoi piani del cazzo?»

«No, ma non sempre le cose vanno per il verso giusto»

«Ah no? Beh, forse dovevi pensarci prima! Credevi di arrivare qui, chiedere di questo Mike e risolvere tutto in quattro e quattr'otto?»

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