1. Catturati

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1. Catturati


20 Marzo 1942 - Fronte occidentale, Francia.


Lo Spitfire era precipitato. La contraerea tedesca lo aveva forato come un groviera, mentre sorvolavano Arras. La campagna francese si era mescolata rapidamente con il cielo, i colori tenui dei campi incolti confusi con l'azzurro di un pomeriggio assolato.

Aveva cercato in tutti i modi di tenere su l'aereo, tirando al massimo la cloche, sterzando ripetutamente per non costringere il piccolo caccia allo stallo, ma era stato tutto inutile: le ali non riuscivano a catturare correttamente l'aria, mentre dal motore usciva una scia di fumo nero. L'atterraggio si era fatto urgente, ma non sarebbe stato soffice né indolore; aveva gettato una occhiata alle proprie spalle: il suo artigliere stringeva spasmodicamente i pomelli delle mitragliatrici, come se questo potesse salvarlo.

«Reggiti» gli aveva gridato, sforzandosi di non badare all'espressione terrorizzata del ragazzo «Andrà tutto bene, Farlan! Non permetterò che ti succeda niente!» bugie, infinite bugie. Non aveva idea di cosa sarebbe successo: se anche fossero riusciti ad atterrare senza danni, si sarebbero comunque trovati dietro alle linee nemiche. Avrebbero dovuto pregare di non incontrare tedeschi, di riuscire a scappare e nascondersi in qualche fattoria, sperando in soccorsi che non sarebbero mai giunti.

Maledizione, maledizione! Lo sapeva che quella missione era un suicidio, ma il generale Doyle aveva insistito. Bombardare Arras non era servito a niente: in città non vi erano carrarmati nemici e nemmeno contingenti militari. La soffiata a cui si erano appoggiati era falsa. Li avevano fatti decollare per nulla, soltanto per lanciarli contro la spietata contraerea.

Il suo, ovviamente, non era l'unico veicolo abbattuto; aveva visto cadere altri quattro aerei, prima di essere colpito a propria volta. E, da quel momento, aveva fatto di tutto per non precipitare.

Sforzi inutili.

Alla fine, lo Spitfire si era schiantato in un campo di grano immaturo, ai margini di un bosco di latifoglie.

Levi lo vide attraverso il velo delle lacrime che gli oscuravano la vista. Un bosco, sì... nascondiglio perfetto. Se soltanto fossero riusciti a raggiungerlo...

Sollevò la mancina, portandola alla testa, scostando un ciuffo dei corti e spettinati capelli neri: sentiva la fronte scoppiare, come se qualcuno l'avesse presa a martellate. Un rivolo di sangue colava dalla tempia sinistra, mentre un sapore metallico gli riempiva la bocca: anche le labbra si erano spaccate in più punti, così come gli zigomi. Un dolore lancinante gli attraversava la gamba sinistra, salendo dalla caviglia slogata. La divisa color nocciola era intrisa di sangue all'altezza del fianco destro, là dove le lamiere avevano strappato tessuto e pelle. Gli occhi grigi spaziarono immediatamente al proprio corpo, alla ricerca di ulteriori ferite: per essere un pilota della Raf, rientrava a stento nei parametri di ammissione. E per aver quasi raggiunto i trent'anni, era decisamente basso e minuto.

«Merda...» sibilò, tentando di ruotare leggermente il busto. Arricciò la punta del naso in una smorfia irritata al sentire un sordo bruciore percorrergli tutto il corpo. Si costrinse ad ignorare quel fastidio, allungando la destra per scuotere le spalle dell'artigliere «Farlan...»

Il ragazzo seduto dietro di lui si chiamava Farlan Church e, a soli ventuno anni, era già uno degli artiglieri più promettenti. Il capo biondo era riverso lateralmente, su una spalla, mentre lo sguardo chiaro completamente chiuso. I lineamenti del viso, candidi e delicati, erano solcati da spesse striature rossastre, mentre a stento il respiro pareva sfuggire dalla bocca sottile, ancora dischiusa in un urlo strozzato di terrore.

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