Marzo 1942. Territorio occupato, Nord della Francia. Moriers, dintorni di Orleans.
Levi oltrepassò la soglia stringendo la fetta di torta tra le mani. Carla aveva insistito perché ne prendesse ancora dopo la colazione. Si era alzato tardi, a metà mattina, ma la gentile padrona di casa gli aveva tenuto da parte del the caldo e della crostata.
A quell'ora, il paesino già brulicava di attività: le botteghe aperte riversavano in strada l'incessante rumore dei lavoratori, mentre delle lavandaie correvano al fontanile per sciacquare i panni. Qualcuno transitava con carretti ricolmi di frutta, sorpassando un capannello di uomini intenti a sgorgare un malmesso tombino appena oltre la proprietà degli Jaeger. Grisha si era già recato al suo ambulatorio ed Erwin lo aveva seguito per sincerarsi delle condizioni di Christa.
Aveva chiesto di poterlo raggiungere, ma Carla lo aveva pregato di rimanere alla cascina per qualche ora ancora: doveva recarsi dalla sarta per far sistemare un paio di orli e ritirare del bucato. Sarebbe stato tanto gentile da badare ai ragazzi in sua assenza?
Certamente. Non poteva rifiutarle un favore tanto semplice, men che meno a fronte dell'ospitalità di cui aveva goduto. Inoltre, controllare due bambini non sarebbe stato un problema, no? Eren si era rimesso a dormire, acciambellato sul divano ed attorniato da due grossi e pigri gatti, mentre Armin sedeva sui gradini in legno della veranda, reggendo un robusto tomo sulle ginocchia.
«Cosa stai leggendo?» chiese, accomodandosi accanto a lui e gettando uno sguardo al volume. Gli occhi chiari del fanciullo erano incollati alle pagine lucide, dove capeggiavano disegni in bianco e nero.
«Un libro sugli aerei»
«Ti piacciono?» sbocconcellò la punta della torta, assaporando il gusto dolce della marmellata.
«Moltissimo. Da grande vorrei fare il pilota»
«Davvero?» quella ingenua affermazione risvegliò immediatamente il suo orgoglio sopito «Anche io sono un pilota».Così quel piccoletto si immaginava a bordo di uno Spitfire, le mani sottili a stringere i comandi ed i piedi sui pedali per regolare flap e timone. O forse no... forse non sarebbe diventato un pilota da combattimento. Magari uno di quelli che trasportano carichi e merci oppure aiuti umanitari. Senza dubbio, sarebbe stata una sorte migliore: sarebbe corrisposta ad un mondo sereno e senza guerre, un mondo che quella generazione avventurosa meritava di ereditare. Un mondo che gli adulti dovevano proteggere e coltivare, nella speranza di poterlo lasciare un giorno tra le braccia sicure e sognatrici dei giovani.
Eppure... che cosa stavano facendo loro? Distruggevano l'Europa, smembrandola in piccoli pezzi, rimbalzando i ritagli di terra tra uno stato e l'altro, contendendosi frontiere, risorse e persino vite umane. Che razza di genitori erano, se non sapevano neppure consegnare la pace nelle mani speranzose di quei bambini?
La pace, la libertà... come si guadagnavano quelle cose? Non lo sapeva. Dopo tutto, era un semplice soldato. Non si interessava di politica, né dei piani lungimiranti dei generali. Forse Erwin avrebbe saputo rispondere, ma lui... beh, se non trovava una risposta adatta, era inutile che si ponesse la domanda. E poi... quelle cose magari non interessavano nemmeno ad Armin, il cui sguardo innocente era ormai fisso sulla sua figura. Un pilota? Si era definitivamente guadagnato l'attenzione di quel moccioso che, senza dubbio, l'avrebbe tormentato con mille quesiti:
«Sul serio? Oh... mi piacerebbe moltissimo diventare come te!» l'ingenuità nella voce gli strappò un blando sorriso «Voglio essere un pilota per poter volare, per poter vedere il mondo dall'alto. Mi sono sempre chiesto come facciano gli uccelli a stare su, senza mai cadere... come ci riescono gli aerei? Sono fatti di metallo, non di piume... perché non precipitano, quindi?»
L'inizio di una lunga serie di domande, senza dubbio. Eppure quella curiosità non gli dispiaceva affatto, anzi... per la prima volta, si sentiva importante. Come se i sogni di quel bambino fossero ora appoggiati sulle sue spalle; spettava a lui il compito di incoraggiarlo, di spronarlo ad esaudire ogni desiderio, di spingerlo avanti senza timori né rimpianti.
«è un meccanismo complicato...tutta questione di fisica.» rispose, allungando l'indice sul disegno di una carlinga «Quando voli, l'aria scorre tanto sopra quanto sotto le ali. Immaginati due correnti: la prima passa sulla superficie dell'ala ed è più veloce della seconda che, invece, passa sotto. Quest'ultimo flusso, essendo più lento, ha una pressione più alta di quello che lo sovrasta. In questo modo, spinge l'aereo dal basso, impedendogli di cadere.» Armin lo stava guardando affascinato, pendendo dalle sue labbra. Sollevò la mancina, portandola orizzontalmente e picchiettandovi sopra con l'indice destro «Fingi che questa sia un'ala. Appoggia la tua mano sopra la mia» sussultò quando le dita fredde del bambino arrivarono a coprirgli il dorso della sinistra. Posizionò il pugno destro sotto il palmo opposto, contraendo i muscoli del braccio «Adesso spingi. Spingi con tutte le tue forze» colse una leggera pressione sulla mano sinistra, insufficiente a smuoverlo da quella curiosa posizione «Vedi? Tu spingi dall'alto e io dal basso: la nostra immaginaria ala rimane stabile. Se i nostri pugni fossero le due correnti d'aria di cui ti ho parlato, l'ala rimarrebbe in volo.»
«E queste scanalature a cosa servono?»
«Sulle ali ci sono degli elementi mobili, come delle piccole lastre che scorrono: si chiamano flap e servono per regolare la velocità» sollevò ed abbassò ritmicamente il mignolo, minando un gesto di apertura e chiusura.
«Che tipo di aereo hai, tu?»
«Uno Spitfire! è...» sfogliò rapidamente le pagine «Questo qui!» tracciò i contorni dell'elegante sagoma con una punta di nostalgia.
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Operazione Chariot
Fiksi PenggemarFrancia, Marzo 1942 - Un piccolo caccia della Royal Air Force viene abbattuto nella campagna francese, lungo il Fronte Occidentale. Per i due piloti non c'è alcuna speranza: catturati da una brigata tedesca, torturati per informazioni su una importa...