08 ⎸Come sta tuo padre?

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Non sapevo come diamine fosse potuto succedere

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Non sapevo come diamine fosse potuto succedere.

Ricordavo com'era finita la serata e di certo, non mi aspettavo che le cose potessero precipitare così dal niente. Mi ero addormentata nel letto di mio fratello, ma il mattino seguente non ero nella sua stanza.

A dirla tutta, non ero proprio in casa mia.

I polsi mi facevano male e così anche le caviglie, strette alla gamba della sedia sulla quale ero seduta. O si trattava di uno scherzo di pessimo gusto, o qualcuno mi aveva davvero prelevato mentre dormivo e mi aveva portata via.

Tenni chiusi gli occhi. Non può essere, pensai subito; il sonno di Jungkook è leggerissimo. Si sarebbe sicuramente accorto se qualcuno fosse entrato in casa nostra. Con le mani legate dietro alla schiena, tentai di darmi un pizzicotto.

Dalla morte dei nostri genitori avevo iniziato ad avere questi strani incubi, ma quel giorno sentivo che non era così. Poteva davvero essere accaduto ciò che credevo? Qualcuno poteva realmente avermi rapita?

Velocemente, ripercorsi la serata nella mia testa: dopo avermi tormentata e stuzzicata solleticandomi dappertutto, Jungkook mi aveva rimboccato le coperte ed aveva fatto un salto al piano di sotto. Sapevo fosse tornato da me perché l'avevo sentito infilarsi sotto alle lenzuola e poco dopo mi ero addormentata.

Ma allora cosa diamine ci facevo lì?

Sempre più convinta che niente di ciò che stava accadendo fosse un sogno, aprii cautamente gli occhi e mi diedi un'occhiata in giro. Come mi ero immaginata, quella non era casa mia. L'intonaco delle pareti era scrostato e ogni angolo della stanza macchiato di muffa; l'aria era pesante e viziata, e ciò fu più che sufficiente perché comprendessi che quel luogo, ovunque fosse, non si trovava neanche nelle vicinanze di casa mia. O del mio quartiere.

Allo stesso modo notai che il pavimento sotto ai miei piedi era logoro e diroccato e che, in alcuni punti, era persino sporco di sangue. Il mio.

«Signore, si è svegliata»

La voce che mi giunse alle spalle si rivolse al proprio superiore con rispetto e conformità. Io da parte mia, strattonai le funi che mi tenevano legata alla sedia e tentai di allentarle. Non stavo di certo tentando di scappare; sapevo bene che in quelle condizioni anche aprire bocca mi sarebbe stato fatale. Non ero stupida, ma i polsi mi facevano davvero male.

«Ci hai finalmente degnati della tua presenza, ragazzina»

La prima cosa che scorsi del mio interlocutore, furono gli occhi. Azzurri come il cielo. Cosa molto singolare per uno di quelle parti. Ma forse era questo il problema: forse chiunque avessi davanti non era affatto di lì.

Se così fosse stato, la cosa avrebbe spiegato tante cose. La prima, la sua stupidità per avermi rapita.

«Con chi sto parlando?» domandai cauta sollevando un sopracciglio.

Sweet Criminal - [ᴍɪɴ ʏᴏᴏɴɢɪ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora