Capitolo III°- Spettri bianchi- parte prima

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Arrivammo presto, in ospedale, quella mattina.

L'aria fredda di quell'inizio di inverno si faceva sentire.

Il cappotto non riusciva a riscaldarmi.

Avvertivo un gelo che non era possibile sciogliere nemmeno con il tepore della più calda delle stufe, perché si rigenerava, di continuo, dentro di me, raggelandomi, ogni volta.

Come se mi trovassi ad oppormi ad una serie di onde ghiacciate...

Troppi i dubbi.

Troppi i pensieri che mi attanagliavano.

Come avrei fatto a far uscire mia madre da lì?

Ed anche se fossi riuscita a portarla fuori, come sarei riuscita a tenere a bada Isadora, nelle ore buie?

Non sapevo che cosa fare.

Questa volta, Juan entrò con me, in ospedale.

Dovevamo pensare.

Escogitare qualcosa.

Qualunque cosa pur di farla evadere da lì.

Anche se non avevo ancora in mente un piano, sentivo che sarebbe stato meglio che mi trovassi accanto a mia madre.

Tutto intorno a me iniziò a sembrarmi irreale.

Vedevo sfilare, come al rallentatore, i medici, gli infermieri.

Quei camici bianchi mi apparivano come tanti fantasmi.

Parlavano sempre più a rilento, fra di loro, con un linguaggio dal tono basso, difficile da comprendere.

Sembrava che fossero compiaciuti dei loro paroloni impenetrabili, inframezzati qui e là, da frasi senza senso.

Non sapevo dire con certezza se mi facessero più paura loro o le Ombre a cui ero sfuggita, nella Voragine Nera.

Continuavano ad agitare le mani, lentamente...

Sempre più lentamente.

Fino a bloccarsi del tutto.

Fino a quando sentii una voce, distinta, dentro di me.

Nitida.

Mi dovetti sedere su una sedia in sala d'aspetto.

Mi portai le mani sopra le orecchie.

Chiusi gli occhi.

Non ero io a parlare.

Né Juan.

Non sapevo definire che cosa mi stesse succedendo.

Avevo la netta sensazione che qualcuno mi stesse entrando nella mente.

Qualcosa stava formulando alcuni pensieri, unendoli ai miei.

Facendoli sembrare come miei.

Juan si inginocchiò di fronte a me.

Mi prese le mani fra le sue.

"Angie, che cosa c'è?".

Mi chiese, preoccupato.

" Non lo so.

Non so dirlo nemmeno io.

Ma è come se un codice mi stesse passando davanti agli occhi e mi stesse dicendo quello che devo fare.

Esattamente.".

Avvertivo una strana sensazione.

Avevo la netta percezione che fosse una cosa che non dovevo temere.

Qualcosa da assecondare.

"Lasciami un attimo, da sola, Juan.

Non so spiegarti per quale motivo, ma devo ascoltare.

Stai tranquillo.

Non c'è nulla di cui avere paura.

Non chiedermi il perché.

Ma lo so.".

La sua sconfinata fiducia in me, prevalse di fronte ai suoi timori.

Perciò mormorò:

"Farò come vuoi.

Mi fido della tua intuizione.

Sarò comunque nelle vicinanze.

Per qualunque cosa...

Chiama.

Senza esitare.".

Lasciò andare le mie mani, tenendone una, ancora per un momento, stretta sul suo petto.

Poi abbandonò la presa.

Strinse le labbra, annuendo appena con un cenno del capo.

Quindi si allontanò.


Antiqua - Insania 3°libro della saga di "Antiqua"Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora