Hipsterville

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Mamma, non sto andando in Siberia. Torno tra due giorni!» Eravamo seduti alla
fermata del Greyhound di Dullsville, fuori dalla gelateria di Shirley. Mi stava
strangolando di abbracci, quando finalmente l'autobus frenò davanti al marciapiede,
per far salire me e qualche altro giovane abitante del luogo che aveva deciso di partire
presto per le vacanze di primavera.
Mentre ripartiva, e io salutavo con la mano dal mio posto in fondo, vicino al
finestrino, sentii una morsa allo stomaco. Era il mio primo viaggio lontano da
Dullsville in solitario. Mi domandai perfino se sarei mai tornato.
Mi appoggiai allo schienale, chiusi gli occhi e cominciai a immaginare come
sarebbe stato essere un vampiro, insieme a Harry.
Me lo immaginavo, in piedi sotto la pioggia, che mi aspettava alla fermata
dell'autobus di Hipsterville, con i jeans neri e una maglietta nera a decori fosforescenti
di Jack Skellington e un bouquet di rose nere in mano. Vedendomi, le sue gote si
sarebbero colorate di rosa quanto basta per farlo sembrare vivo. Mi avrebbe preso la
mano tra le sue, mi avrebbe stretto a sé per poi baciarmi a lungo. Mi avrebbe fatto
accomodare nel suo cocchio vintage restaurato, con tanto di ragni e ragnatele dipinti,
mentre la musica degli Slipknot usciva dalle casse dello stereo. Avremmo parcheggiato davanti a un castello abbandonato, per poi salire le tortuose scale verso
la torre. Le pareti sarebbero state drappeggiate di pizzo nero e i semplici pavimenti di
legno sarebbero stati coperti di petali di rose. Un milione di candele avrebbero
rischiarato la stanza, mentre la luce della luna filtrava a malapena dalle strette finestre
medievali.
"Non potevo più stare senza di te" avrebbe detto Harry. Mi si sarebbe
avvicinato, serrando i denti attorno al mio collo. Avrei sentito la pressione sulla mia
pelle. Mi sarei sentito allo stesso tempo intontito e più vivo che mai, la testa leggera, il
corpo inerte tra le sue braccia. Il mio cuore avrebbe preso a battere all'impazzata,
come se dovesse battere per tutti e due. Con la coda dell'occhio, avrei visto Harry
alzare la testa, compiaciuto. Mi avrebbe deposto delicatamente a terra. Mi sarei sentito
strano, e avrei stentato a reggermi in piedi, mentre mi sfioravo il collo, vedendo il
sangue colarmi lungo l'avambraccio. Con la punta della lingua, avrei sentito due
piccole zanne sull'arcata superiore.
Mi avrebbe fatto vedere la cittadina addormentata, da una finestra aperta della
torre. Avrei visto cose che mai avevo notato prima, come i fantasmi sorridenti che
galleggiano sopra le case.
Harry mi avrebbe preso la mano e saremmo volati via, nella notte, sulle luci
scintillanti della città e sotto le stelle intermittenti e lontane, come due angeli gotici. Il
suono delle campane mi interruppe. Non erano i campanelli che mi davano il
benvenuto nella terra dei morti, ma quelli di un passaggio a livello che segnalava un
treno in arrivo, in rotta di collisione con la mia immaginazione iperattiva. L'autobus
era fermo davanti alle rotaie. Un bambino seduto a pochi posti da me si agitava,
emozionato dall'arrivo del grande locomotore nero. «Ciuff ciuff! Ciuff ciuff!»
esclamò. «Da grande voglio guidare il treno» dichiarò a sua madre.
Anche io guardai dal finestrino, mentre il conducente sventolava il berretto
azzurro, e il treno ci passava davanti. Invece di carrozze nuove di zecca, assistemmo
alla lenta processione di una lunga fila di vecchi carri merci coperti di graffiti. Come il
bambino, che senza dubbio stava già sognando la sua futura vita sui treni – troppo
piccolo per concepire le difficoltà di quel lavoro, l'isolamento, gli orari impossibili e il
pessimo stipendio – anche io cominciavo a domandarmi se il mio sogno di
trasformarmi in un vampiro non fosse più romantico della realtà.
Stavo per entrare in un mondo sconosciuto, con una sola certezza in mente:
dovevo trovare Harry.
Il cartello di benvenuto ufficiale nella città di zia Libby dovrebbe dire:
"Benvenuti a Hipsterville – Gli abitanti sono tenuti a lasciare i pantaloni da golf ai
confini della città." La cittadina era un eclettico miscuglio di locali alla moda, negozi
dell'usato dall'aria lussuosa e cinema indipendenti presidiati da ogni genere esistente
di persone cool: hippy, artisti, dark e fashionisti. Non c'era discriminazione, tutti
erano accettati, da quelle parti. Cominciavo a capire perché Harry e Jameson
potessero essere scappati proprio in quella località. Non era lontana da Dullsville, ma
permetteva loro di confondersi con l'eterogenea folla che ne animava le strade.
Chissà come sarebbe stata la mia vita, se fossi stata accettato, invece che
ostracizzato. Sarei stato tra i primi invitati a ogni festa nelle case "infestate" degli
amici, avrei potuto aspirare al titolo di reginetta della festa di Halloween e avrei avuto
il massimo dei voti nel corso di Tombe Storiche. Papà e zia Libby erano stati hippy,
negli anni Sessanta, ma se papà si era trasformato in uno yuppie, Libby era rimasta
fedele all'alternativa che c'era in lei. Si era trasferita a Hipsterville, si era laureata in
drammaturgia e faceva la cameriera in un ristorante vegano, mentre aspettava di
sfondare come attrice. Era sempre impegnata in qualche produzione avanguardista o
in un'installazione emotiva nel garage di qualche regista. Quando avevo undici anni,
la mia famiglia l'aveva vista rimanere ferma su un palcoscenico per un tempo che ci
era parso interminabile, vestita da gigantesco baccello di piselli, mentre declamava
versi frammentari sulle sensazioni che provava in quanto legume che nasceva.
Quando arrivai a Hipsterville, non fui sorpreso di constatare che Harry non mi
stava aspettando, ma fu strano scoprire che nemmeno mia zia era venuta a prendermi.
Spero che non si presenti in ritardo anche per gli applausi di fine recita, pensai,
mentre aspettavo alla fermata, sotto il sole cocente, accanto alla mia valigia. Dopo un
bel pezzo, vidi il suo Maggiolone vintage entrare tossicchiando nel parcheggio.
«Come sei cresciuto!» esclamò, uscendo dall'auto per venire ad abbracciarmi. «Però ti
vesti sempre allo stesso modo. Ci contavo, per riconoscerti.»
La zia Libby aveva il volto giovanile, ravvivato da ombretto viola e rossetto rosa.
Portava grandi orecchini a pendente rossi che si intonavano ai suoi capelli color foglie
d'autunno, un abito senza spalline blu, impreziosito da perle bianche, e sandali di
cuoio beige.
Il suo calore mi contagiò. Anche se avevamo gusti diversi, ci sentimmo subito
legati come fratelli, e cominciammo a parlare di moda, musica e di film.
«Morso d'amore?» mi chiese, quando le dissi cosa avevo guardato di recente. «È un po' come il Rocky Horror Pieture Show. Mi ricordo quando sono andata allo
spettacolo di mezzanotte e ho ballato nei corridoi per tutto il tempo. "Let's do the time
warp again"» cantava zia Libby, mentre i passanti ci guardavano incuriositi.
«Be', ma Morso d'amore non è un musical» la interruppi io, prima che qualcuno
venisse a darci una multa per schiamazzi. «È un vero peccato. Be', allora devo
assolutamente portarti in un posto» disse, entusiasta, e mi portò per mano appena
dietro l'angolo, da Hot Gothics.
«Wow!» esclamai, indicando un paio di stivali di cuoio e una felpa di neoprene
nero percorsa da tagli paralleli. «Questo posto l'avevo visto solo su internet.» Ero nel
paradiso dei dark e tutto era bellissimo! Magliette delle Wicked Wicca, fumetti di
Hello Batty e finti tatuaggi macabri.
La commessa – capelli fucsia, viso pieno di piercing, calzoncini neri su leggings
neri, scarpe décolleté con il tacco di otto centimetri e una camicia da meccanico grigia
con su scritto "Bob" – mi venne incontro. Aveva uno stile che a Dullsville si poteva
vedere solo sui canali della TV via satellite. E invece di accogliermi come ero
abituato, cioè ignorandomi o trattandomi come se fossi stato un ladro, mi salutò come
si fa con le stelle del cinema nelle boutique di Beverly Hills. «Posso aiutarti?
Abbiamo un sacco di articoli in promozione.»
La seguii entusiastico per tutto il negozio, finché non ebbi esplorato tutti i vestiti
esposti. Ero esausto. «Se ti serve qualcos'altro, chiedi pure» mi disse. Avevo le braccia
ingombre di calze a rete, un paio di stivali fino al ginocchio e una borsetta di Olivia
Outcast. Libby provò una maglietta nera che diceva "Risucchiata da un vampiro".
Sentii una stretta al cuore e mi si strinse lo stomaco.
«Te la voglio comprare» insistette, portandola verso la cassa.
Normalmente avrei urlato di gioia davanti a una maglietta come quella, ma quella
scritta non faceva che ricordarmi che Harry non c'era più.
«Non devi.»
«Certo che devo. Sono tua zia. La prendiamo» disse, allungando alla commessa
la maglietta e la sua carta di credito. Tenevo in mano il mio bottino dark. Ogni cosa
mi ricordava Harry.
«Questi li rimetto a posto» dissi. Poi però mi venne in mente che sarei stata molto
sexy con gli stivali e le calze a rete, se l'avessi ritrovato.
«Prendiamo tutto» disse la zia, capendo i miei pensieri, mentre posava la merce sul bancone.
Zia Libby viveva in una minuscola viuzza percorsa da un filare di alberi che
nascondeva casette a schiera degli anni Quaranta; era un panorama molto diverso
dalle moderne costruzioni suburbane del quartiere di Dullsville dove abitavo io. Il suo
appartamento aveva una sola camera da letto ed era piccolo ma accogliente, con una
personalità decisamente artistica. Tappeti a fiori, cuscini, sedie di vimini e potpourri
alla lavanda erano gli elementi principali del salotto. C'erano maschere veneziane
appese alle pareti e lanterne cinesi che pendevano dal soffitto. «Puoi dormire qui»
disse zia Libby, indicando un divano-futon a pois nel salotto.
«Grazie!» dissi, contento del mio nuovo alloggio. «Sei stata gentile ad accettare di ospitarmi.»
«Oh, ma io sono felicissima che tu sia venuto!» disse lei. Appoggiai la valigia
accanto al futon e gettai uno sguardo all'orologio dei Pink Floyd appeso sopra al finto
caminetto antico, che era stato riempito di candele nuove. Avevo solo poche ore,
prima del tramonto.
Libby mi versò un succo di carota, mentre aprivo il bagaglio. «Avrai fame» mi
disse, dalla sua minuscola cucina in stile art deco. «Ti va una piadina all'avocado?»
«Certo» dissi, accomodandomi al tavolo da pranzo vintage ingiallito, con il suo
portatovaglioli fatto di perline e una gamba più corta delle altre. «Scommetto che
stasera hai un appuntamento galante» dissi, mentre lei guarniva il mio panino con
germogli freschi. «Ma non ti preoccupare, io so badare a me stessa.»
«Tuo padre non te l'ha detto? Forse voleva farti una sorpresa.»
«Cosa doveva dirmi?» chiesi, immaginando Libby che mi allungava un paio di
ingressi VIP del Coffin Club. «Ho una rappresentazione, stasera.»
Una rappresentazione? Non ero venuto fino a Hipsterville per starmene seduto in
un garage per tre ore. «È in centro» disse, fiera. «Stasera faremo uno spettacolo
privato per gli anziani della città, quindi temo che tu sarai la sola spettatrice senza i
capelli bianchi. Però sono certa che ti piacerà.» Prese una busta attaccata al frigo con
un magnete a forma di arcobaleno. La aprì, ne prese un biglietto, e me lo offrì.

GLI ATTORI DEL VILLAGGIO PRESENTANO
Dracula
Gli Attori del Villaggio recitavano in un'ex scuola elementare. Il camerino delle
attrici era un'aula che ancora aveva odore di gesso, e le cui grandi finestre erano state
coperte con pesanti tendaggi. C'erano specchi al posto della lavagna, e una lunga
toeletta piena di beauty case, fiori e biglietti di congratulazioni occupava lo spazio
della cattedra. Mentre zia Libby si metteva il trucco di scena e si strizzava nell'abito
vittoriano bianco, io facevo girare un vecchio mappamondo dimenticato in un angolo,
posando un dito sulla Romania.
Ovviamente, in altre circostanze, sarei stato felicissimo di assistere a una rappresentazione di Dracula. Ci sarei andato tutte le sere, soprattutto per vedere mia zia nel ruolo di un'anziana – ma di certo convincente – Lucy. Avrei prenotato posti in
prima fila. Ma perché restare a guardare un finto Dracula quando potevo vederne uno
vero sorseggiare un Bloody Mary in fondo alla strada, al Coffin Club? Il direttore di
scena gridò nel corridoio: «Cinque minuti!» Abbracciai Libby e le dissi un in bocca al
lupo sincero. Sperai che non facesse caso al mio posto vuoto, durante la recita, ma
non potevo lasciare che quel rischio mi fermasse; appena lo spettacolo fu iniziato,
sgattaiolai fino all'uscita posteriore del teatro.
Presi da parte un anziano usciere, a modo suo un autentico non morto. «Da che
parte, per il Coffin Club?» Alcune persone passano tutta la vita a cercare la loro anima
gemella. Io avevo appena un'ora e mezza per trovare la mia.

ℑ𝔩 𝔭𝔞𝔰𝔰𝔞𝔱𝔬 è 𝔱𝔬𝔯𝔫𝔞𝔱𝔬. Larry Stylinson Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora