Il blues della fermata dell' autobus

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Zia Libby e io ce ne stavamo seduti su una panchina fuori dalla stazione dei
Greyhound, in attesa del diretto delle venti. C'era un solo autobus al giorno in partenza da Hipsterville, e partiva proprio al calar del sole. Avevo voglia di ritrovare
Dullsville e Harry, ma mi dispiaceva lasciare la zia Libby. Mi era piaciuto stare
con lei, la ammiravo. Aveva seguito il sogno di fare l'attrice, ed era riuscita a vivere
senza dipendere da nessuno, sviluppando stile e gusti tutti suoi e un personalissimo
modo di vedere la vita. Mi considerava una persona unica e speciale, non una pazzo. E
soprattutto mi trattava come una persona normale.
E poi mi sarebbe mancata l'atmosfera eccitante di Hipsterville, un posto dove
c'erano locali dedicati ai dark come il Coffin Club, e negozi come Hot Gothics, la mia
nuova mecca personale per borchie, cuoio e tatuaggi temporanei. Libby mi cinse la
vita con un braccio e io le appoggiai la testa alla spalla proprio mentre arrivava
l'autobus. «Mi mancherai un sacco, zia Libby» dissi, stringendola con tutta la mia
forza, per poi salire a bordo. Lungo il corridoio, usai il portacipria per controllare gli
altri viaggiatori. Dopo aver verificato che tutti avessero un riflesso, compresa la
coppia di dark seduta in fondo, scelsi un posto accanto al vetro. Zia Libby mi salutò
con un cenno della mano mentre aspettavamo che l'autobus ripartisse. Capivo dal suo
sguardo che le sarei mancato quanto lei già mancava a me. Quando finalmente
partimmo, si stava ancora sbracciando per salutarmi. Non appena l'autobus uscì dalla
città, tuttavia, mi lasciai scappare un sospiro di sollievo. Il malvagio, misterioso,
pericoloso Jagger non poteva più farmi del male. Dovevo solo pensare a un nuovo
piano per rivedere il mio splendido principe gotico, Harry.
Il viaggio verso Dullsville fu dolorosamente lungo. Chiamai Niall dal cellulare,
ma era al cinema con Liam. Presi appunti sui miei incontri con Jagger nel mio diario
di Olivia Outcast, ma scrivere mi faceva venire il mal d'auto. Cercai di immaginare
perché Jagger volesse trovare Harry –forse le due famiglie si contendevano il
Maniero della baronessa – ma fare ipotesi non faceva che aumentare l' ansia di
ritrovare il mio ragazzo. Sognai il momento in cui ci saremmo rivisti, ma allo stesso
tempo non riuscivo a non pensare alle mappe sul pavimento dell'alloggio di Jagger.
Quando l'autobus si fermò alla stazione di Dullsville, mi pareva trascorsa un'eternità
dalla partenza. Sperai perfino che, contro ogni probabilità, ci fosse Harry ad
aspettarmi, ma fui accolto da mamma, papà, Billy Boy e dal suo amichetto nerd,
Henry.
«Esci di già?» chiese mio padre quando fummo arrivati a casa e io ebbi portato la
valigia in camera mia. «Ma noi vogliamo sentire i racconti del tuo viaggio!» Non
avevo tempo di intrattenere i miei genitori, per quanto buone fossero le loro
intenzioni. «Come ti sei trovato con zia Libby? Che ne pensi del suo ruolo in Dracula? Avete mangiato quei terribili panini al tofu?» Volevo andare nel posto dove riuscivo a pensare meglio. «Devo andare a trovare Harry!» dissi, chiudendomi la
porta d'ingresso alle spalle.
Corsi fino al Maniero e trovai il cancello socchiuso. Senza fiato, mi inerpicai
lungo il ripido vialetto, e prima ancora di arrivare alla casa notai qualcosa di strano:
anche la porta d'ingresso era solo accostata.
Magari mi aveva visto dalla finestra della soffitta del maniero abbandonato e mi
aveva seguita fino a Dullsville. «Harry?» dissi, entrando.
L'ingresso, l'atrio e la sala da pranzo erano come li avevo visti l'ultima volta, con
i mobili coperti e senza quadri alle pareti.
«Harry?» ripetei, avviandomi lungo lo scalone. Il mio cuore accelerava il
battito a ogni passo. Mi lasciai alle spalle il primo piano e salii fino alla soffitta di
Harry. Quando entrai nella sua stanza, a stento riuscivo a respirare, per
l'emozione. Bussai delicatamente alla porta. «Harry, sono io, Louis.» Nessuna
risposta.
Girai la maniglia e aprii la porta. Anche quella stanza era uguale a come l'avevo
vista l'ultima volta; era spoglia, eccezion fatta per le poche cose che aveva lasciato.
Ma sul letto sfatto c'era uno zainetto. Era tornato.
Sollevai il consumato zainetto nero e lo abbracciai. Sapevo che non era bello
guardarci dentro, soprattutto perché Harry poteva tornare nella stanza da un
momento all'altro, ma non potevo non farlo.
Mi sedetti sul letto e aprii la cerniera lampo, quando sentii un rumore proveniente
dal cortile sul retro della casa. Guardai dalla finestra della soffitta e vidi il bagliore di
una candela accesa nel gazebo, sul quale svolazzava placidamente un pipistrello.
Corsi fuori dalla stanza, giù per le scale, lungo il corridoio del primo piano e
ancora lungo l'interminabile scalone. Uscii dalla porta principale senza neanche
fermarmi per chiuderla, e raggiunsi il cortile posteriore. «Harry!» gridai, correndo
verso il gazebo buio, dentro al quale distinguevo a malapena la sua sagoma. Poi la
luce della candela sfarfallò. Vidi i suoi occhi, uno verde e uno azzurro, prima che
avanzasse, lasciandosi illuminare dalla luce della luna.
Cercai di scappare, ma era troppo tardi. Lo sguardo di Jagger aveva già
cominciato a piegare la mia volontà.

ℑ𝔩 𝔭𝔞𝔰𝔰𝔞𝔱𝔬 è 𝔱𝔬𝔯𝔫𝔞𝔱𝔬. Larry Stylinson Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora