Capitolo 8.

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Raggiungo una stanza dalla quale potrei passare ad altre, ma non mi interessa. Sono troppo sconvolta per continuare a correre.

Chiudo la porta affinché nessuno venga a disturbarmi. Sono troppo sconvolta per avere voglia di parlare con qualcuno in questo momento. E anche troppo spaventata da quello che ho visto prima. Ma dove sono finita? Con chi diavolo ho avuto a che fare? Con dei mostri?

Scivolo sulla porta ormai chiusa, finché non mi ritrovo a terra. Tra una lacrima e l'altra che senza controllo scendono sul mio volto, mi rendo conto che mi trovo in una stanza molto piccola ma che ha tutta l'aria di essere uno studio. Alcuni libri sono incastrati nelle librerie sulle pareti e un'enorme scrivania piena zeppa di fogli e di strumenti vari svetta nel centro.

Continuo a piangere senza controllo, sentendo me stessa scossa dai fremiti.

La porta dietro di me, però, interrompe i miei pensieri, confusi già di loro.

Sembra che qualcuno, dall'altra parte, la stia spingendo, come per entrare.

Non so perché, sarà per il mio stato d'animo o per tutto ciò a cui ho dovuto assistere in questi ultimi giorni, sarà per la scena violenta di poco fa o chissà per quale altra cosa, ma subito mi ritrovo a strisciare sul terreno per raggiungere la parete opposta alla porta. Mi rannicchio su me stessa e ancora piangendo, noto che sto tremando.

Sono terrorizzata.

La porta si spalanca, e ne entra il mio peggior incubo: Black.

Probabilmente si è ripulito, perché il suo completo nero non porta nessuna traccia di sangue.

Entra nella stanza con la testa alta. Dalla sua posizione, mi guarda squadrandomi centimetro per centimetro.

Io mi rannicchio ancora di più in me stessa.

-Tu... tu sei un mostro.- balbetto.

Lui si inginocchia di fronte a me, sugli anfibi neri, arrivando alla mia stessa altezza. Mi scruta in volto. Il suo non ha espressione. Sembra spento, come quando qualcuno ti resetta completamente con un telecomando, premendo un solo bottone.

-Pensavi di conoscermi, vero?- alla fine si decide a parlare e a dire qualcosa.

-In realtà no, ma ora sicuramente sì: sei un brutale assassino e, non so per quale motivo, hai anche una schiera di seguaci che amano vedere rituali brutali. Cosa siete? Sei un milionario che ha messo su una setta? Cosa?- parlo con disprezzo, fissandolo tutto il tempo con gli occhi e aprendomi un po' dalla mia posizione rannicchiata.

Lui si mette a ridere e si rialza, iniziando a camminare da una parte all'altra della stanza.

-Non mi conosci. Affatto.- sentenzia infine: -Sai cosa permette di mantenere il potere, Anastasia?-

Sentirgli pronunciare il mio nome per intero mi provoca un brivido, e non riesco a capire di cosa.

-No, cosa?-

Lui si ferma davanti al tavolo al centro della stanza. Si gira improvvisamente verso di me e mi risponde: -L'ignoranza.-

Il suo modo secco di rispondermi, unito alla risposta in sé, mi confonde, tanto che mi ritrovo a chiedergli: -Che significa?-

Black fa un mezzo sorriso, girandosi verso di me e facendo qualche passo verso la mia direzione.

-Vedi... quando una persona si fa vedere ai suoi seguaci per quello che non è, non potrà mai perdere il potere. Quando nessuno ti conosce davvero, nessuno sa quali siano i tuoi punti deboli e nessuno mai potrà sconfiggerti.-

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