Thomas: Seita

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Look at the stars, look how they shine for you

-"in my place" Coldplay

Proseguirono camminando per quasi mezz'ora , ad un certo punto Henry chiese a Jacqueline e Thomas di avvicinarsi a lui per poter proteggere meglio i due artefici più giovani dalle eventuali trappole che avrebbero potuto incontrare sul percorso verso la città.

Giunsero su un altipiano soprastante la città. Piccoli cubi di muratura, legno e mattoni formicolavano nella valle. Un' immensa distesa di case, capanne e palazzi, che si arrampicavano gli uni sugli altri come colonie di insetti, ogni edificio conservava un'ombra di quella doveva essere stata una candida lucentezza, un antico splendore. I tetti delle case erano gremiti di tegole rosse e marroni sulle quali eano appollaiati numerosi stormi di corvi neri. Un tempo, doveva essere stata una bella città. Ora le strade erano colme di fango e di sporcizia , ovunque si scorgevano numerosi edifici abbandonati e fatiscenti, aggrediti e logorati dal tempo e dall'incuria.

Elija diede loro i mantelli e Thomas si chiese come avrebbe fatto Jacqueline a nascondere il Cerchio, lei infilò il mantello. Quando venne il momenti di mettersi il cappuccio si portò un dito alle labbra e sibilò. Il Cerchio si acquietò e quasi si spense nascondendosi perfettamente sotto il mantello.

Thomas si mise il cappuccio in modo da mantenere il volto nascosto, lo stesso fecero Henry, Jacqueline ed Elija. Scesero dal pendio in fila indiana perchè il sentiero era molto stretto e ripido; quando furono in vista della città Elija disse: "Mi raccomando, seguitemi e fate molta attenzione: a Seita è facile entrare e difficilissimo uscire..."
Le mura erano più alte e imponenti di quanto Thomas non si aspettasse, colossi di pietra lo sovrastavano. Sembrava che tutto a Seita fosse stato minuziosamente progettato per incutere timore. Senza nemmeno rendersene conto finì al fianco di Jacqueline.

Quando furono davanti al portone di legno scuro che sbarrava l'ingresso della città dovettero sostenere un colloquio molto teso con le guardie che sorvegliavano l'entrata.
"Chi siete?" chiese la guardia.
"Una compagnia di viandanti" rispose Elija per loro.
"E perchè volete entrare a Seita?" continuò il sorvegliante
"Dobbiamo attraversarla" disse nuovamente Elija.
"Niente da dichiarare?"
"No"
"Che creature siete?"
"Tutti semplici Lica Morpha" la guarda volse loro uno sguardo torvo e sospettoso, Thomas si sentì raggelare quando incontrò gli occhi dell'uomo, sperava che quel colloquio finisse il prima possibile.
"Nessuno di voi è artefice?"
"No, nessuno"
"Da dove venite?"
"Dalle Chunea-Cime"
L'artefice dell'acqua era così teso che sentiva il battito frenetico del suo cuore rimbombargli nelle orecchie, comprese che più sarebbe durato quell'interrogatorio più darebbe stato facile per le guardie identificarli.
Dopo un lungo silenzio l'uomo lanciò un ultimo sguardo sospettoso ai quattro amici e disse:"Potete entrare"

Thomas tirò un sospiro di sollievo e rilassò i muscoli contratti per la tensione, non sapeva che la parte più difficile del loro viaggio a Seita doveva ancora arrivare.
Il gigantesco portone di legno si aprì come il sipario di un teatro dove è rappresentata una tragedia. Le vie della città, semivuote e inquietanti, erano animate dal passaggio di poche persone, perlopiù mendicanti o briganti sotto i mantelli dei quali si scorgeva il luccichio sinistro di pugnali affilati. Davanti al quartetto si apriva la via principale di Seita di cui non si scorgeva la fine, lungo i lati della strada v'erano una lunga serie di edifici dai muri sporchi e imbrattati, quelle che un tempo dovevano essere state insegne di negozi pendevano dalle aste di ferro dondolando tristi nel vento.

Thomas sperava di uscire da quella città il prima possibile e senza grossi intralci, perciò accelerò il passo e seguì Henry ed Elija. Faticò ad ammettere a se stesso che aveva molta paura. Non parlarono durante quel giorno, nè si fermarono per consumare i pasti, ma camminarono il più velocemente possibile verso l'uscita da quel luogo infernale. Ogni tanto un accattone li intercettava per chiedere loro qualche soldo, ma Elija non si fermava mai, nemmeno per rispondere.
Thomas pensava che ciò fosse molto triste, pur sapendo che non avevano altra scelta. Vedere gli occhi spenti di quelle persone che ormai somigliavano a manichini coperti di stracci gli stringeva il cuore. I loro volti svuotati di ogni emozione assumevano espressioni deformate da una miseria prolungata e dolorosa.

Un insieme di odori nauseanti invase le narici del ragazzo, accanto a lui sedeva un povero mendicante con un animale vicino, somigliante a un cane. Erano entrambi talmente denutriti e malconci da rendere faticoso il loro riconoscimento come cane e uomo. Thomas non aveva nulla da dargli, provò molta pena per lui.
'Come vorrei che qui fosse diverso' pensò, ricordò che il motivo per cui quella città era ridotta in quello stato era Neear. La rabbia si fece strada nel suo cuore: chi era quel mago per poter decidere come potevano vivere quelle persone? Come si poteva essere crudeli al punto da ridurre un luogo in quello stato?
'Bisogna essere pazzi, o forse assetati di potere' si rispose.
La strada che stavano percorrendo era ricoperta da fango e sporcizia che formavano pozzanghere maleodoranti lungo i lati della via. L'unica nota rassicurante per Thomas era la presenza dei suoi amici, averli al suo fianco gli dava sicurezza. Anche se non aveva ancora avuto modo di fraternizzare con Elija pensava che avrebbero potuto legare. Se Henry si fidava di lui significava che si poteva fidare anche Thomas.

Notò che i passi di Elija non seminavano più nemmeno un fiore. Camminava senza che dietro di lui crescesse anche il più esile filo d'erba.
Si stava facendo buio e, come aveva detto l'artefice della terra, era impossibile attraversare una città così grande in un solo giorno, Henry si stava avvicinando a quella che assomigliava a una locanda: un edificio cencioso e semifatiscente con un cartello in legno recante la scritta:
'la grande barca, camere'.
Thomas aprì la porta del locale e vide una stanza piuttosto piccola con pochi tavoli malridotti, uno solo era occupato da un individuo losco.
L' uomo indossava un mantello marrone scuro con un cappuccio calato fin sul naso , sul mento si poteva scorgere un accenno di pizzetto grigio, le braccia robuste coperte da una maglia marrone erano appoggiate sul tavolo, con una mano reggeva un boccale che si portava ritmicamente alla bocca per bere.

Henry si avvicinò al bancone dove si trovava quello che doveva essere il proprietario del locale e chiese: "Quattro camere, grazie" con tono abbastanza brusco.
"Mi dispiace, ne sono rimaste solo tre" rispose sbadigliando l'uomo, Thomas stava per fargli notare che la locanda era palesemente vuota, ma si morse la lingua per paura di tradirsi. "Vanno bene lo stesso" continuò l'artefice dell'aria scoccando al ragazzo un'occhiata fulminante intuendo ciò che voleva dire.
Dopo alcune contrattazioni sul prezzo Henry riuscì a farsi dare le chiavi delle stanze.
"Piano superiore" disse il proprietario del locale sbadigliando nuovamente. Salirono le scale scricchiolanti, quando furono davanti alle loro camere si scambiarono delle occhiate molto eloquenti. Henry lanciò allartefice dell'acqua uno sguardo severo, Thomas se ne sentì molto intimorito. Jacqueline gli fece segno di seguirla e il ragazzo obbedì inghiottendo il nodo che gli opprimeva la gola.

Quando entrarono nella loro stanza i due tirarono un sospiro di sollievo. Non appena Jacqueline si tolse il cappucio il Cerchio avvampò per la prima volta dopo la lunga prigionia del mantello per poi acquietarsi immediatamente.
"Che giornata spossante, non ho mai visto nulla di più terribile" disse la ragazza.
"È triste pensare che tutto Auriah poterebbe finire così se non fermiamo Neear"
"Aiuteremo Henry e lo fermeremo" disse coraggiosamente l'artefice.
"Non hai paura? "
"Ne ho, ma ho dei compagni di viaggio saggi e premurosi" Thomas sorrise, ammirava moltissimo il suo coraggio.
"E poi ho fiducia in noi" aggiunse.

Jacqueline prese a misurare la stanza nervosamente con lunghi passi per poi fermarsi di colpo a fissare il muro.
"Thomas?"
"Si?" disse lui.
"Perchè siamo in questo luogo?"
"Beh, perchè le mie cugine sono in mano a Neear, perchè dobbiamo cercare di recuperare l'ultimo anello prima che lui lo distrugga e poi, perché questo posto ha davvero bisogno di essere salvato" riepilogò il ragazzo.
"Non era a questo che mi riferivo "
Thomas si morse il labbro, quando lei si voltò piantò i suoi occhi azzurri in quelli della ragazza.
Era un gioco di sguardi difficile da sostenere, una specie di incontro di scherma. Thomas decise che, se voleva combattere quella rappresaglia, sarebbe stato meglio farlo da vicino. Si alzò finché non fu davanti a lei. Passò un momento che sembrò eterno senza che nessuno dei due dicesse nulla. Era surreale.
A un certo punto Jacqueline ruppe il silenzio dicendo:" E se fosse questa la nostra casa?"
"Questa sudicia locanda?"
"No, Auriah"
"Tu ti senti a casa qui?"
"Non lo so, è strano, è come se ci fossi già stata..." Il ragazzo rifletté un secondo, si morse il labbro senza smettere di guardarla negli occhi.
"Casa non è un luogo, Jacqueline. Casa è una sensazione" lei gli sorrise, gli diede un delicato bacio sulla bocca e svanì nella tenebre della stanza.

Il giorno dopo arrivò con sorprendente velocità. Gli artefici si rimisero in cammino appena ne ebbero la possibilità: desideravano uscire da quell'inferno.

Thomas camminava abbastanza tranquillo. Si voltò per prendere la mano di Jacqueline e rassicurarla ma ebbe un tuffo al cuore quando si accorse che lei non era più al suo fianco.

Il Regno Di AuriahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora