Capitolo 30

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Lui è stato furbo. Non ha organizzato questo "incontro" a palazzo. L'edificio in qui ci incontreremo è in un condominio di 16 piani. È tutto rovinato, l'intonaco viene via dai muri. Le tapparelle delle finestre sono mal messe, scrostate e arrugginite. I vetri sono sporchi, coperti di polvere accumulata negli anni. Non ci abita nessuno da molto tempo. Ci dovevano essere delle scale, una volta, che portavano alla porta d'ingresso del condominio. Ora ci sono solo le fondamenta dei gradini, sbarre di metallo. Quattro in tutto. Non si fa, comunque, fatica a saltare fino alla porta.

Immagino come sia dentro, questo edificio. La porta è così leggera che quasi non si rompe quando la apro. Non è ne di legno, ne di metallo, ne di vetro, ma sembrerebbe di cartongesso o qualcosa di simile. Cigola.

<<Andate>> i componenti del mio gruppo si allontanano, seguendo i miei ordini.

Ok. È arrivato il momento. L'ho immaginato tantissime volte, ma non posso prevedere quello che accadrà. Sono pronta.

Entro dentro l'atrio del condominio. Anche qua l'intonaco viene via dalle pareti arancioni. Il soffitto è crepato e su una parete c'è un po' di muffa. Si sente una puzza di vecchio già sulla porta. C'è una striscia di marmo che porta fino alle scale. Anche questa è impolverata. Ci sono delle impronte di fango. Non è difficile entrare qua, sarà qualcuno che mentre pioveva vi si è rifugiato. Non saranno di certo di Lui. Oggi non piove e se anche piovesse, lui non toccherebbe terra, figuriamoci avere le scarpe infangate. Il corrimano che costeggia le scale è forse l'unica cosa ancora intatta del palazzo.

Devo salire al terzo piano. Stranamente, le scale non sono coperte di polvere. Lui avrà chiamato qualcuno a farle pulire per poterci camminare sopra senza sporcarsi minimamente le suole delle scarpe. Al terzo piano, devo entrare nell'unico appartamento con la porta aperta. Un'ascia mi colpisce ripetutamente il petto. Una luce fredda illumina questo appartamento. Il mio piede oltrepassa cautamente il varco della porta. Non c'è nessuno qui. È tutto bianco. Nemmeno una finestra o un mobile. Solo pareti bianche. Il mio cuore riesce addirittura a calmarsi, mentre non posso permettermi di abbassare la guardia. C'è una porta. Mi avvicino a quest'altra porta, all'erta. Potrebbe esserci qualche trappola da qualche parte, nascosta. Le mie gambe si paralizzano e sono congelata in un blocco di ghiaccio. Non ce la posso fare. No.

Spalanco la porta. Questa stanza è l'opposto dell'altra. Ci sono due sedie, una di fronte all'altra, al centro della stanza. Non ci sono mobili neppure qui. Le 4 pareti sono dipinte di un viola scuro, che, siccome non c'è luce, sembra nero. Devo sforzarmi per vedere in tutto questo buio. <<Vanessa Treece >> una voce viene dalla parete di fronte a me. Mi incute un terrore tale che stavo per girarmi e uscire dall'edificio. Non vedo chi possiede questa voce, ma posso immaginarlo. Un uomo abbastanza sovrappeso, vestito in giacca e cravatta, si fa avanti nell'ombra. Non distinguo bene i lineamenti, però dimostra 40 anni. Non è normale. Lui ne ha 200, di anni. Tengo la testa alta e gli occhi fermi, le mani strette in pugni e i piedi ben saldi a terra. Non faccio nulla che possa mettermi in svantaggio. Devo ucciderlo. Devo solo trovare il momento adatto.

<<Finalmente faccio la sua conoscenza.>> si avvicina piano. <<Sa già chi sono>> vorrei annuire solo con il capo, per non far sentire la mia voce tremolante. <<Suppongo di sì.>> rispondo. Un sorriso malvagio gli illumina il viso <<Bene. Siamo già a buon punto.>> prende una sedia. <<Prego>> con passi lenti e sicuri, mi siedo di fronte a Lui. Mi sembra impossibile questo momento. Fino a pochi mesi fa sognavo di incontrarlo di persona e ucciderlo con le mie mani. Era il mio sogno più grande. Stringere le mie mani più strette possibile attorno al suo collo, sentendolo chiedere perdono, fino a mancargli del tutto il fiato.

Non riesco a credere di essere qui adesso. Finalmente sono di fronte all'uomo che mi ha fatto soffrire così tanto, che uccide persone ogni giorno senza preoccuparsene e che se ne frega di cosa accade a noi, ai suoi "sudditi". Non ho più paura. L'odio che provo verso di Lui è riuscito a vincere contro qualsiasi altra cosa. Io posso fare qualsiasi cosa. Posso sottomettere chiunque, persino un Lui, e posso fare quello che voglio senza nessuno che mi fermi, perché nessuno ha le mie stesse capacità. La sua voce calma mi riporta su questa sedia in questa stanza oscurata. <<So che ha fatto molte, possiamo dire, imprese eroiche.>> imprese eroiche. Non pensavo che fossero considerate così. <<Mi ha derubato di molto. Ma ancora di più mi ha offeso.>> il suo sorriso svanisce. Ho paura che in ogni momento arrivino i suoi complici e mettano fine a tutto. Proiettili mi feriscono la schiena. <<È molto coraggiosa. Credo che lo sappia.>> questa volta sono io a sorridere <<Ho visto le sue abilità. È speciale>> si, lo sono. E non sa che ne avrà la dimostrazione fra poco. <<E nonostante sia molto intelligente e possieda molte qualità, per me resta lo stesso un ostacolo. E io non gradisco gli ostacoli.>> ci siamo quasi. Mancano pochi minuti. Devo resistere. Ogni mio muscolo si trattiene dall'aggredirlo e mi ci è voluto molto autocontrollo nel non ucciderlo non appena l'ho visto. <<So che non è sola. Ha un complice.>> Darren. Oh, no. Non avevo pensato a lui. Ero troppo concentrata. <<Spero che sappia dove sia>> No. Questo è impossibile. Darren è in hotel, ed è sorvegliato da 5 dei nostri. Non possono averlo trovato <<Certo che so dov'è>> la mia voce mi ferisce. Non sono così perfida, e invece la mia voce da quell'impressione. <<Perfetto.>> sono contenta che non sappia di tutti gli altri miei complici. <<Sono lieto che non la vedrà fare questa fine. Perché lui non è qui, giusto?>> cosa gli dico? Non ho molta logica. <<Solitamente segue i miei consigli, ma per le cose importanti può non farlo>> annuisce soddisfatto. Spero di non aver detto nulla di contradditorio.

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