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Finalmente la campanella. Questo suono tanto atteso da tutti significava una sola cosa: la fine dei corsi e l'inizio delle vacanze di primavera. Avrei avuto un attimo di tregua dalla routine di tutti i giorni.

All'inizio dell'anno era stata veramente dura perché il ritardo con il quale ero arrivata alla UCLA mi aveva fatto perdere gran parte del programma che avevo dovuto recuperare. Per fortuna gli insegnanti mi avevano dato un aiuto prezioso e altrettanto si poteva dire di Paris, che mi era stata sempre vicina. Ora eravamo due amiche inseparabili e avevo avuto la conferma che la mia prima impressione era stata stranamente giusta. Eravamo molto simili, tranne per il fatto che lei era sicura di sé, sapeva quando dire la cosa giusta al momento giusto, e aveva un ragazzo, il mio grande punto dolente.

Mi posai lo zaino su una spalla, il mio vecchio zaino ricoperto di disegni e spille che mi aveva sempre accompagnato durante le giornate scolastiche come un fedele compagno, ed uscii dall'aula. Raggiunsi l'uscita accompagnata dal cinguettio degli uccellini e dallo schiamazzo degli studenti che già programmavano eccitati i loro giorni di libertà. Le ultime vacanze, durante il giorno del Ringraziamento, le avevo passate a studiare per recuperare il programma svolto, ma poi fortunatamente c'era stato l'inaspettato arrivo dei miei genitori che mi aveva fatto dimenticare la stanchezza. La loro presenza era stata il regalo di Natale più bello che avessi potuto desiderare.

Con questi pensieri imboccai il viale che mi avrebbe condotto finalmente fuori da lì, verso la strada del riposo, quando qualcuno si frappose tra me e la via di fuga. Un ragazzo più grande di me, con occhi di un profondo colore scuro, punti di barba appena fatta sotto il mento e un paio di orecchini tondi e neri ai lobi. Dal cappellino da baseball gli fuoriusciva un ciuffo di capelli mori e indossava una T-shirt a mezze maniche nonostante le temperature primaverili; i jeans attillati cadevano in un paio di Adidas nuove di zecca. Era Blake Langdon, il migliore amico di Paris. Il nome calzava a pennello per l'aspetto un po' tenebroso ma pur sempre attraente, accentuato dal contrasto tra i capelli scuri e la pelle chiara. All'apparenza sembrava il classico ragazzo arrogante e distaccato, una persona da cui prima sarei scappata volentieri se me la fossi trovata davanti, eppure frequentandolo avevo scoperto che in realtà era molto simpatico e genuino, un vero amico. Il nostro primo incontro, quello che mi aveva fatto rompere il ghiaccio, era stato quando il distributore automatico mi aveva mangiato i soldi. Alla fine grazie a Blake ero riuscita ad ottenere il mio tanto adorato pacchetto di M&M's e da allora l'avevo catalogato come "mio salvatore di cioccolatini".

«Blake!» esclamai sfoderando un ampio sorriso. «Dì la verità, già ti manco.»

Mi circondò la vita con un braccio e mi attirò al suo fianco con tenerezza. «Lo sai che ti penso sempre, bellezza.» Mi fece l'occhiolino e io mi misi a ridere. Il nostro legame sapeva essere amichevole ma affettuoso al momento giusto, un modo giocoso che usava spesso per farmi capire che potevo contare su di lui in qualsiasi situazione.

Sembrò sul punto di dire qualcosa ma, proprio quando schiuse le labbra, ci ripensò e mi sventolò semplicemente un invito davanti agli occhi. Il mio sguardo fu subito attirato dalla grande scritta in caratteri argentati "Mega Party", accompagnata da un indirizzo.

«Stasera ci sarà una festa a Venice Beach per festeggiare l'inizio delle vacanze. Non puoi mancare.»

Per la cronaca, Venice Beach era una delle spiagge più rinomate di tutta Los Angeles, un vero intreccio di etnie diverse. Oltretutto conservava un lato oscuro e poteva essere tanto magica quanto pericolosa, soprattutto di sera.

«Una cosa in grande?» chiesi apprensiva. Se avevo imparato qualcosa di lui in questo periodo era sicuramente che aveva amici da vendere.

«Sto facendo del mio meglio» replicò con orgoglio.

In realtà le feste non mi erano mai piaciute per i ragazzi che non si regolavano con l'alcol e arrivavano a commettere delle pazzie, e poi c'era la musica spacca timpani, i balli scatenati, fumo e nella maggior parte dei casi anche droga.

«Ci sarò» risposi infine. «Ma solo perché sei tu a chiedermelo.»

Blake socchiuse le palpebre e si toccò la visiera del cappello in segno di assenso, come a dire "Non te ne pentirai".

All'improvviso il corpo di Paris si insinuò tra di noi e cinse le spalle di entrambi con un braccio.

«E' Spring Break ragazzi! Che si dice?»

«Si parlava della festa.»

«Ci sarai anche tu?» chiese Paris abbozzando un sorriso entusiasta.

«Ho accettato in questo momento.» C'era tempo fino a sera per ripensarci, ma l'idea di avere dei visi conosciuti al mio fianco mi tranquillizzava un po'.

«Quindi sei ufficialmente dei nostri? Sarà uno sballo! Spero solo che quei due vecchietti non chiamino di nuovo la polizia» esclamò, ridendo con Blake.

«Tranquilla, sono fuori città. È tutto programmato.»

«La polizia?» feci allibita. «Spero che abbiate organizzato qualcosa di legale.»

«Definirci legali sarebbe un insulto» ribattè il ragazzo. «Ad ogni modo, quei due poveri vecchietti avevano notato la musica a palla, una coppietta che faceva sesso sul bagnasciuga e qualche sbronzo che vomitava sulla veranda del bar e avevano dato l'allarme!»

«Ragazza» continuò Paris «stiamo parlando dello Spring Break, le vacanze americane trasgressive per eccellenza. Non so cosa facevate in Italia, ma questo è un mondo un po' distante dal tuo.» Già, quante persone me l'avevano ripetuto osservando le mie reazioni ai loro suggestivi racconti di scorribande americane.

Blake osservò per un attimo la mia faccia spaventata, così si affrettò ad aggiungere: «Ma non succederà nulla di illegale, almeno... non stasera, puoi stare tranquilla. Ci sarà solo divertimento.»

«Stai scherzando? Vorrai forse dire puro sballo!» gridò Paris stringendo di più la presa per l'emozione. Blake le rivolse un'occhiata truce per farle intendere che stava cercando un po' di sostegno per tranquillizzarmi, ma lei non sembrò badarci. Il mio stomaco fece una capriola al solo pensiero. Più passavano i minuti e più mi stavo rendendo conto che forse non avrei dovuto abbandonare il divano e la televisione quella sera.

«Bene ragazze, vi lascio. Mi raccomando, vi aspetto, ci tengo molto. A dopo!» E se ne andò dandoci una stretta affettuosa al braccio.

Paris mi guardò e mi rivolse un sorriso confortante. «Allora, come vogliamo iniziare le vacanze?»

«Mmh, che ne dici di un caffè con ghiaccio alla Starbucks?» proposi con sicurezza.

Era la nostra meta preferita quando non sapevamo dove andare durante il weekend.

«E tanto caramello?»

«Ovviamente.»

«Questo sì che è un inizio.»


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