«Ho visto la macchina che ha usato Agares parcheggiata sul retro. Vieni, muoviamoci.»
Ero troppo sconvolta per controbattere. Lo seguii in silenzio cercando di mantenere il passo delle sue lunghe falcate che, una sì e una no, beccavano in pieno una pozzanghera, bagnandomi ancora di più i jeans. Per poco non sbattei contro le ampie spalle di Nakir quando ci ritrovammo di fronte alla sagoma di un'auto sportiva piazzata al centro della strada.
«Però, il nostro amichetto ha rimediato un trabiccolo niente male! Non gli dispiacerà se apporto qualche modifica.» Ribaltò il pugnale al contrario, afferrandolo per la lama e, dopo avermi fatto segno di allontanarmi, diede un colpo deciso al finestrino della Jaguar, mandandolo in frantumi. Le schegge si riversarono sullo strato d'acqua che ricopriva il suolo, fondendosi con la brillantezza della pioggia. Con gesti calcolati e rapidi, Nakir infilò una mano nel finestrino rotto e aprì l'auto dall'interno. Si soffermò sulla mia figura impotente, trafiggendola con uno sguardo che non avrei saputo identificare –comprensivo o forse seccato?- e pensai a quale potesse essere il mio stato in quel momento, pallida, tremante e con un'espressione scandalizzata sul volto. L'abbozzo di un sorriso gli increspò le labbra, ma durò solo un attimo perché quello dopo mi aveva già gridato di entrare in macchina. Feci come mi disse e mi sedetti sul sedile, inzuppandolo in meno di dieci secondi. Nakir si chinò e, dopo aver armeggiato un po' con dei fili sotto il volante, mise in moto l'auto e si sedette anche lui, chiudendosi la portiera alle spalle. Con mio grande stupore non ingranò subito la marcia per sgommare via da quel luogo il più in fretta possibile. Si accasciò sullo schienale e immobilizzò lo sguardo oltre il finestrino appannato. Per qualche strana ragione, desiderai di poter incrociare quello sguardo e intercettare i suoi pensieri, consapevole che non mi sarebbero piaciuti. I sentimenti mi stavano travolgendo con un impeto feroce e sapevo che avevo cercato di stargli lontana solo per evitare quella sensazione.
«Tutto bene?» chiesi con un filo di voce. Non ero sicura di riuscire a sopportare la risposta.
La sua testa si protese verso di me come se si fosse accorto solo in quel momento di non essere solo. Aveva ancora il viso rigato di pioggia e le labbra umide. Portai i capelli di lato per strizzarli.
«Non ne sono sicuro, ma non ha importanza. Adesso è di te che ci dobbiamo occupare.» Chi? Chi si doveva occupare di me? Dove mi avrebbe portato? Non lo sapevo, ma qualcosa in fondo al cuore mi disse che di lui potevo fidarmi. «Bene.» Batté le mani sul volante e finalmente ingranò la marcia. «Andiamocene via di qui.»
Provai un senso di sollievo a quelle parole. Mi abbandonai sul poggiatesta e lasciai che i muscoli in tensione si sciogliessero, liberandomi dalla forte oppressione e dal senso di nausea. Girai la testa da un lato per costringermi a distogliere lo sguardo da Nakir e chiusi le palpebre. Ero sopraffatta dalla stanchezza, ma la testa era ancora affollata di pensieri e domande alle quali non trovavo una risposta –non per forza razionale, ma almeno che fosse logica-. Provai la contrastante sensazione di voler sapere tutto subito e contemporaneamente di non voler sentire niente e nessuno. Incollai la fronte al finestrino e sospirai piano, pensando Basta! Evidentemente la mia bocca si aprì in automatico, perché Nakir distolse per un momento lo sguardo dalla strada.
«Non riesci a riposare?» Il suo tono era premuroso. Non l'avrei mai immaginato capace di tanta gentilezza verso qualcuno. Era duro anche e soprattutto con se stesso, come se fosse colpevole di qualcosa che colpiva a ruota tutte le persone che lo circondavano. Le luci dei lampioni danzavano sul suo volto rigido, lo sguardo fisso davanti a sé, creando giochi di luci e ombre ed esaltando ancora di più la spigolosità degli zigomi e la mandibola leggermente pronunciata. La maglia bagnata gli aderiva al corpo mettendone ancora di più in mostra il profilo asciutto e definito, con le spalle larghe affondate nello schienale del sedile. Le sue dita impugnavano il volante così forte che le nocche erano pallide rispetto al resto del corpo.
«Non mi stai portando a casa, vero?» domandai.
«Tornerai a casa, ma non ora. Dobbiamo prima accertarci che sia tutto tranquillo.»
Sgranai gli occhi. «Tranquillo? Quel tizio» mi corressi «quel demone mi voleva uccidere perché ha detto che qualcuno tanto tempo fa si è macchiato di una colpa che oggi ricade su di me! Ha detto... che voi siete Cacciatori, o qualcosa di simile, tipo Nelim...»
«Nephilim» mi corresse lui. «Che cos'altro ti ha detto? Riesci a ricordarlo?»
«Non lo so, è tutto così confuso.»
Il suo tono divenne implorante. «Concentrati. Ricorda qualcosa, qualsiasi cosa.»
Le rotelle nella mia mente giravano a ritroso. Trattenni il respiro. «Insisteva sul fatto che io fossi riuscita a vederti a Venice Beach, che... che sono quella che il Mondo Invisibile sta cercando da millenni, cosa tra l'altro assurda» riflettei su due piedi «visto che nessuno riuscirebbe a vivere tanto a lungo. E poi ha blaterato per tanto tempo sulla Stella del Mattino e la formazione degli schieramenti di angeli e demoni.»
A quelle parole temetti che avrebbe inchiodato in piena strada. «Ti ha detto per caso perché ti stanno cercando?»
Aggrottai la fronte. Quelle domande indagatrici mi fecero pensare che fosse a conoscenza di qualcosa che non voleva che sapessi. «No. O per lo meno, ci ha provato, ma l'ho fatto arrabbiare e non me lo ha più detto. Qui sembra che tutti lo sappiano, tranne la sottoscritta!» sbottai.
Nakir fece un sorriso sghembo e al contempo ammirato. «A proposito di arrabbiature, chi ti ha insegnato ad infilzare la gente con un coltello? Un demone come Agares, per giunta! Ti dovrò insegnare un sacco di cose, quando arriveremo...»
Voleva cambiare discorso, era scontato. In altri contesti mi sarei sentita fiera di come ero riuscita ad attirare l'attenzione in un ragazzo tanto difficile da stupire.
«Invece non mi insegnerai un bel niente! Io tornerò a casa, dove i coltelli si usano solo per tagliare del cibo nel piatto, e riavrò la mia normale vita.»
Nakir sussultò lievemente. Non aveva considerato l'ipotesi che io non avessi affatto voglia di entrare a far parte del loro mondo. Dopo un lungo silenzio mormorò: «Hai ragione, nessuno può obbligarti, tantomeno uno come me. Ma ricordati che il sangue non è acqua sporca che si può cambiare quando se ne sente il bisogno, è una delle poche cose al mondo che non possiamo scegliere. Ci siamo passati tutti.» E si affrettò ad aggiungere: «Soprattutto io.»
Mi costrinsi a guardare ovunque tranne lui, perché quelle parole così vere mi avevano ferito nell'animo. Anche lui doveva essere uno che nella vita ne aveva passate tante, dal suo tono di voce traspariva tutto il dolore che poteva aver vissuto.
«A cosa serve domandarsi di chi è il sangue che ti scorre nelle vene, quando non sei neanche più sicuro di quale sia la tua identità?» Riuscii giusto a sussurrare questa domanda a fior di labbra, rivolta a me o forse a lui, prima che il sonno mi avviluppasse e mi impedisse di sentire la risposta. Ma la risposta in realtà non c'era. Nakir era in silenzio e accelerava un po' alla volta per lasciarsi alle spalle il passato, in un'inesorabile corsa contro il tempo e i ricordi che probabilmente non avrebbe mai avuto fine.
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Feather 1
Fantasy《Le ali sono un'estensione dell'anima, di quello che siamo dentro di noi... Le cose belle non sono fatte per essere viste con gli occhi, perchè l'unica bellezza che riuscirai a trarne da esse è attraverso il cuore.》 Addison era sempre stata alla ric...