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Lungo la strada che stavo percorrendo a passo di lumaca incrociai un piccolo locale sulla cui sommità troneggiava il cartello Club Déjà Vu. All'ingresso c'era solo una veranda di legno tinta di bianco che sembrava dare al locale un'aria amichevole.

Ero stanca e mancava poco per arrivare a casa, volevo proseguire il più in fretta possibile, ma una strana musica proveniente dall'interno mi fece fermare. Sean si stava esibendo lì, ecco perché non era venuto a lavoro oggi! In una frazione di secondo ricordai il suo invito e l'atteggiamento imbarazzato. Era stato molto carino il primo giorno, e poi sarebbe stato un modo alternativo per trascorre la serata e fare il tifo per lui. Glielo dovevo.

Capii subito che la sala era divisa in due zone: il piano inferiore, occupato da tavolini rotondi attorno ai quali erano riuniti alcuni ragazzi che gustavano il loro drink post-cena; i più volenterosi accennavano qualche passo di danza al centro della sala trasformando il locale in una piccola discoteca. Il piano superiore, a cui si accedeva tramite una strettissima scala a chiocciola con i gradini accesi di una luce violetta, era dedicato al gioco d'azzardo: alcuni facevano scommesse radunati attorno ad un tavolo, altri bevevano affacciati al parapetto che dava sulla sala in basso. Quando entrai, una ragazza pulita in un luogo simile, venni additata dall'alto da due ragazzi.

Di fronte a me si stendeva un lungo bancone illuminato dalle luci di piccoli faretti viola, che richiamavano lo stesso colore delle tende e delle scale. Attorno ai tavoli c'erano tanti divanetti bassi di pelle rossa, consunti, e in un angolo un palchetto per le esibizioni serali, che ora era occupato da Sean, rintanato in un angolo e piegato in due su un nuovo remix, le cuffie alle orecchie. Rimasi sbigottita da quanto potesse essere ricco di sfumature il tempo libero di Sean, abituata com'ero a sentirlo dire "Vai a servire quel tavolo!" o "Sparecchia quell'altro!".

Sgattaiolai tra i divanetti finché non ne trovai uno libero. Per un secondo i ragazzi che stavano giocando a poker provocarono una baraonda che sovrastò il drop a cui Sean stava lavorando. Dalle urla di trionfo la partita sembrava molto accanita. Vedere tutti gli altri in un gruppo compatto mi fece venire nostalgia dei miei vecchi amici di scuola in Italia. Le dita sfiorarono il cellulare nella tasca, con l'intenzione di chiamare qualcuno che potesse colmare il vuoto che c'era accanto a me, ma per qualche strana ragione ci ripensai in fretta. Questa storia delle paranoie mi stava complicando la vita più di quanto mi fossi mai aspettata. Sembrava una situazione semplice da gestire, una banale stranezza della vita di tutti i giorni. Ero convinta che, dopo che Nakir fosse scomparso dalla mia vita, non ci avrei pensato più. I sogni invece sono una continuazione fantastica dei nostri incubi nella realtà.

Un cameriere si accostò al divanetto. Non sembrò notare il fatto che ero praticamente l'unica persona che stava in un locale del genere da sola; piuttosto, giocò con la penna aprendola e chiudendola nervosamente sul petto. Mi voleva far intendere che se ero lì per sostare senza ordinare niente il mio posto era fuori dal club, e subito.

Sinceramente, non sapevo neanche cosa stesse chiedendo il mio stomaco: cibo o drink? Nell'indecisione, l'unica cosa che mi venne in mente fu un semplice bicchiere d'acqua. Sarebbe stato tanto chiedere un posto tranquillo dove trascorrere il resto della serata? Fino a poco tempo prima il mio appartamento sembrava il luogo che meglio rispecchiava le mie esigenze, adesso non ero sicura neanche di quello.

«E' pronta per ordinare?» chiese per la seconda volta il cameriere. Mi morsi il labbro per costringermi a sbloccarmi da quello stato di trance.

Proprio quando stavo per afferrare la borsa e andarmene, qualcuno si affiancò a noi due con disinvoltura.

«Due shot di tequila, grazie.» Diede una pacca amichevole sulla spalla del cameriere e quello lasciò subito il tavolo, soddisfatto. Imbarazzata alzai lo sguardo. Era Sean. Aveva appena terminato l'esibizione e ceduto il posto ad un amico, ma non gli chiesi come avesse fatto a trovarmi così in fretta. Mi sorrise e indicò il divanetto di fronte a me. «Posso?»

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