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«Nakir.» Riuscii a pronunciare quel nome prendendo a raccolta tutto il coraggio di cui ero in possesso. Per un secondo devastante dimenticai il vero motivo per il quale l'avevo seguito. Non sapevo quale reazione aspettarmi da parte sua, ma in realtà non ci fu niente da aspettarsi, perché proseguì senza ascoltarmi. O facendo finta.

«Nakir Harvest» ripetei. Eravamo solo noi, uno di fronte all'altro, per poter concludere una volta per tutte la faccenda. Ciò che ci separava era solo la sua ostilità. Finalmente qualche reazione parve riscuotere quel corpo così distante da alcun tipo di sentimento. In sequenza, lo vidi prima irrigidirsi, poi arrestarsi e infine voltarsi lentamente, con una solennità che risucchiò il tempo. Degli anfibi di pelle gli arrivavano alle caviglie e la spada non era l'unica arma in suo possesso. In vita scorsi coltelli e altri oggetti affilati, mentre al lato della scarpa, nell'interno, era riposto un pugnale.

Con calma scandì: «Come sai il mio nome?» Non vantava nessun tono particolare, neanche un segno di emozione ad incrinargli la voce. Era di ghiaccio. Statuario.

«Non ha importanza» dissi con una fermezza che non sapevo di possedere.

«Oh, sì che ha importanza, altrimenti non mi avresti seguito. Da piccola non ti hanno insegnato a non parlare con gli sconosciuti?»

Fissai inebetita il cappuccio dal quale proveniva la voce e mi chiesi che faccia potesse mai avere un tale essere presuntuoso. «Non ti stavo... seguendo, niente affatto. È esattamente il contrario!» sbottai, irritata dal suo carattere strafottente. Percepii lo schiocco che emisero le sue labbra nel distendersi in un sorriso oltremodo divertito.

«Ti conveniva trovare una scusa migliore, anche perché tecnicamente non avresti dovuto vedermi.»

«Sì, esatto, ti vedo, ma mi spaventa di più il fatto che ti ho visto scomparire, come evaporato. Per non parlare del tuo fascicolo scolastico!» proseguii. «Come fa a non esserci scritto nulla a parte il nome?»

Lo sgomento del presunto Nakir me lo fece immaginare con un'espressione corrucciata. «Hai visto il mio fascicolo?» chiese senza mostrare affatto preoccupazione, ma solo scherno. «Non credevo fossi a favore dell'illegalità.»

«Tu sei illegale!»

«Per me» ribatté «solo una persona veramente bella merita di essere definita con questo aggettivo, quindi ti ringrazio del complimento.»

Una strana sensazione mi attanagliò la bocca dello stomaco e mi fece provare l'ardente desiderio di calargli il cappuccio. Tenni le mani a freno e passai alla domanda seguente. «L'altro giorno la mia casa è stata devastata. Scommetto che sei stato tu, non è vero?»

Sollevò il capo quanto bastò per avere una visuale migliore della mia espressione scioccata, mentre io non potevo dire lo stesso. Forse traeva divertimento dal tormento delle altre persone. «A proposito di questo, avevi degli ospiti indesiderati nella tua camera da letto. Immagino che non li avessi invitati per un pigiama-party, no?» Non si stava riferendo a se stesso, lo capii subito, quindi non solo lui aveva soggiornato in camera mia.

«Questo è un gioco per te? Qualcuno ti fa una domanda e tu dai una risposta che lo faccia confondere ancora di più?»

«Non è un mio problema se capisci solo quello che ti vorresti sentir rispondere.»

Ignorai quell'ennesima insinuazione carica di sarcasmo. «Che cosa hai fatto a Seth quella sera a Venice Beach? So che sei stato tu a...» ma mi bloccai di colpo. Quel verbo non riusciva ad uscire dalle labbra.

«A fare cosa?» mi incitò. «A ucciderlo? A salvarti la vita? Sì, ero io. Ah, comunque prego, non c'è di che. Non mi devi alcun favore.» Accompagnò la frase con un gesto della mano che voleva essere provocante. Rimasi a fissarlo a bocca aperta, con mille domande che mi affollavano la testa, ma non riuscii a formularne neanche una che fosse concreta. Nakir emise un verso di disapprovazione e si voltò di nuovo. Stava lentamente scuotendo la testa da destra a sinistra. No, non poteva andarsene così! Non avevo ottenuto neanche un quarto delle risposte che stavo cercando.

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