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«Penso che per oggi possa bastare!» ammonii Paris esasperata. Giuro, non avevo mai visto una persona più dipendente dallo shopping! Era dalle nove di mattina che giravamo negozi, provavamo scarpe e vestiti, mangiavamo caramelle e dolciumi vari comprati per soddisfare il nostro stomaco... e si era già fatta l'una.

La mia amica mi rivolse un ampio sorriso e strinse di più i manici delle buste come se qualcuno gliele volesse rubare.

«Come se avessi comprato solo io. E comunque ci vuole un po' di sano shopping ogni tanto. Non è colpa mia se l'ultima volta hai sabotato i miei piani, per niente poi!»

Istintivamente sbuffai. Aveva una capacità incredibile di far sentire in colpa le persone e soprattutto di riuscire ad avere sempre ragione. «Non ricominciare!»

La sua ombra snella si stagliò accanto alla mia, proiettandosi sull'asfalto bollente. Quella mattina aveva deciso all'ultimo momento di portare degli occhiali da sole, ma nonostante i suoi occhi cristallini non fossero visibili, i lineamenti provocanti le davano un tocco di perfezione che avevo notato solo in pochissime persone fino ad oggi.

«Mi chiedo come sia possibile che una persona non abbia un profilo conservato nell'archivio» continuò, decisa a calcare la mano sull'argomento che più di tutti stavo cercando di dimenticare.

Intanto stavamo finalmente imboccando la strada che ci avrebbe portato al parcheggio.

«Me lo sono chiesto anche io. A quanto pare le situazioni più assurde capitano solo a me!»

«E' qui che sbagli» sentenziò. «Devi metterti in testa che non ti riguarda. L'hai visto ad una festa in spiaggia con una spada. E allora? Qual è il problema? Saranno affari suoi se vuole giocare all'uomo mascherato, non credi? Lasciati questa storia alle spalle, fallo per me.»

Facile a dirsi, non sei stata tu quella aggredita.

«Vuoi dire che non ti è forse piaciuto fare la malata davanti a quella povera donna?» sogghignai io.

«Vuoi scherzare? E' stato uno sballo!» rispose ironica. «Pensa che non appena se n'è andata ho dovuto convincere l'infermiera che in realtà stavo benone e che erano semplici dolori mestruali.» Dopo una pausa di silenzio mormorò: «Stai cambiando, sai?»

«E con questo cosa vorresti dire?»

«Niente di importante. L'unico consiglio che posso darti è di non andarti ad impelagare in situazioni più grandi di quanto tu possa immaginare. Los Angeles è una città tanto bella quanto complicata, e lo stesso vale per la maggior parte delle persone che la popolano.»

Volevo farle notare che non era la risposta che mi aspettavo, o chiederle a cosa si riferiva con quest'ultima frase, ma per fortuna il suo stomaco brontolò rumorosamente e mise un freno ad una conversazione che stava prendendo una brutta piega. Ormai mancava poco per arrivare alla macchina.

«Sto morendo di fame» echeggiò, come per scusarsi.

«Anche io, sinceramente.»

«Che ne dici di "Arnold's"?» propose eccitata.

«Andata.»

Proprio lì vicino infatti c'era Arnold's, un ristorante che cucinava esclusivamente piatti italiani e che Paris mi aveva proposto dopo il primo giorno in America per mettermi più a mio agio. Da allora era diventato il nostro preferito e ci andavamo quasi tutte le settimane. La cosa che riuscivo a gustare proprio come se fossi a casa, oltre ai piatti di pasta che mi ricordavano tanto quelli che preparava mia madre, era il caffè, immancabile a fine pasto. Per quanto sia celebre il fascino americano, nessuno saprà mai fare un caffè buono come quello italiano.

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