Prefazione

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Un raggio di luce mi colpì il viso, una sensazione di calore che mi costrinse a schernire gli occhi con la mano e che mi fece capire che tutto quello non era un sogno, ma realtà. Quanto tempo era passato? Le lancette dell'orologio in quella città sembravano scorrere al doppio della normale velocità. La luce non proveniva dalla solita finestra esposta sulla parete est della mia camera, da dove potevo vedere il sole sorgere, ed ero consapevole di non essere comodamente raggomitolata nelle coperte del mio letto, ma seduta in maniera scomposta sui sedili di un taxi: gambe rannicchiate al petto, braccia indolenzite ed espressione spaesata. Al sonno si aggiungeva anche la paura della nuova avventura che stavo per affrontare. L'interno della vettura odorava di pungente logoramento; in poche parole non mi ricordava assolutamente niente di familiare. Los Angeles, ecco dove ero finita: la città della ricchezza e della povertà; la città del mare, delle montagne e del sole; le rinomate spiagge, le strade dei vip e Hollywood tutte in un unico luogo; la cosiddetta "Citta degli Angeli", ma fino a quel momento di vagamente angelico avevo visto solo l'aura rosa e dorata dell'alba.

La ruota del taxi sprofondò in una pozzanghera e gli schizzi colpirono il finestrino. Il mio corpo oscillò con un sussulto. Mi sporsi tanto quanto bastava per vedere fuori. Ero in piena città. Tutte quelle snelle palme lungo il ciglio della strada e i palazzi imponenti mi mettevano soggezione, ma la cosa che mi spaventava di più era non potermi orientare non avendo punti di riferimento. Le strade, nonostante fossero solo le sette di mattina, erano già piene di uomini con le valigette pronti a raggiungere gli uffici e donne che tenevano per mano i propri bambini.

Il veicolo sfrecciava ad una velocità pazzesca, destreggiandosi nel traffico, e un'altra buca che mi fece sobbalzare mi riportò con il pensiero allo stressante viaggio che avevo appena affrontato e che per mia sfortuna non era ancora finito. Il ricordo aleggiava sbiadito nella mia mente, come se fosse accaduto chissà quanti mesi prima, invece erano esattamente 14 ore che avevo abbandonato la mia vecchia vita in Italia sorvolando mezzo mondo da sola. La casa, la scuola, i genitori, gli amici, Milano, la mia città... Avevo trascorso tutta la notte su un aereo, sola con i miei pensieri e la musica, senza chiudere occhio. E pensare che avevo sempre amato viaggiare, ma forse come prima volta sarebbe stato meglio avere qualcuno accanto con cui condividere quell'esperienza. Mi mancavano già le braccia protettive di mio padre, l'amorevole bacio di mia madre, il loro ultimo "Ti voglio bene!" prima di salire sull'aereo, le raccomandazioni che tutti i genitori fanno prima di non essere più sotto la loro custodia e la promessa che ci saremmo rivisti presto. Come se non bastasse, a contribuire ad aumentare l'agitazione c'era il fatto che stavo per andare in una prestigiosa università americana e arrivavo proprio quando l'anno era già iniziato e tutti si erano ambientati. Sarei stata subito classificata come ennesima "matricola".

Dopo un'ultima, pazzesca curva, il taxi inchiodò. "Ti prego, dimmi che non siamo ancora arrivati!". Incollai di nuovo il viso al finestrino. Troppo tardi. In lontananza c'era una strada gremita di persone, edifici, e al di là di essi un mondo sconosciuto che aspettava solo di diventare la mia nuova vita. Il silenzio che mi avvolgeva come un banco di nebbia era inquietante e non osai muovere un muscolo, finché il tassista non battè le mani sul volante e comunicò: «Eccoci arrivati, University of California.» Era palesemente evidente che la mia paura gli stava facendo perdere tempo prezioso. Tirai un sospiro che doveva essere una sorta di incoraggiamento e versai il pagamento della corsa. Il tassista mi aiutò a scaricare i bagagli e poi mi salutò con un cenno della mano, augurandomi buona fortuna. Afferrai il trolley rosso e lo trascinai con foga, giusto un attimo prima di vedere il taxi sparire nuovamente dietro la curva. "Pronta" mi dissi prima di muovere un solo passo verso la strada. Deglutii e annuii per autoconvincermi che, sì, era così, anche se in realtà "pronta" era l'ultima parola del mio vocabolario in quel momento. Quel veicolo giallo, la mia unica via di fuga, mi aveva appena abbandonato. Ma anche se fosse rimasto lì per invitarmi a salire di nuovo a bordo... dove sarei potuta andare?

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