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Mezz'ora più tardi eravamo in macchina, ferme di fronte all'entrata principale della UCLA. Come prevedevo era aperta nonostante le vacanze in corso, ma faceva uno strano effetto non vederla gremita di studenti: sembrava più grande e... con un qualcosa di sinistro.

«Pronta col piano?» chiesi a Paris. Mi strofinai le mani sudate sui jeans; sentivo quell'adrenalina in corpo che hai solo quando stai per infrangere qualche divieto.

«Sono nata pronta, ragazza! Tu piuttosto? Sei pronta ad evadere dalla tua dolce innocenza?»

Aprii la portiera seccata e misi un piede fuori. «Ricordati che sono stata io a pregarti.»

Se dentro di sé avesse ammesso questa verità, non lo diede a vedere e si limitò a far scoppiare un palloncino con la gomma.

«Spero che non faremo un buco nell'acqua.»

«Perché dovremmo? Tutti i dati sono lì. Non esiste una persona che frequenti la UCLA senza che il suo fascicolo venga conservato in archivio.»

«Bé, ieri sera era così invisibile che potrebbe esserlo anche il suo fascicolo.»

Mi voltai a fissarla, sbigottita, poi ripresi a camminare aumentando la velocità. Un senso di nausea mi colse all'altezza dello stomaco.

«Grande, non mi credi! Mi chiedo perché tu abbia accettato di aiutarmi.»

«Hey, Addison! E dai, stavo scherzando.» Mi afferrò per un braccio. «Non prendertela... Dopotutto se ti avessi detto che ad una festa in spiaggia c'era un incappucciato con una spada, mi avresti mai creduto?»

Alzai gli occhi al cielo, decisa a troncare lì la discussione. Avevo un'unica convinzione nella testa. Se Seth era reale, doveva esserlo anche il ragazzo misterioso.

«Scusi, dovrei consegnare questi moduli al preside. Potrebbe dirmi dove si trova l'ufficio?»

La segretaria squadrò Paris da capo a piedi da dietro i suoi occhialetti da vista. Gli occhi rapaci si posarono distrattamente sui fogli; li afferrò con le lunghe unghie smaltate di rosso e cominciò a sfogliarli.

«Nessun problema, li consegno io» rispose infine, dimostrando una gentilezza che non traspariva dal suo aspetto abbastanza grottesco.

«La ringrazio molto» fece Paris con voce pacata, ma l'attimo dopo si afferrò il ventre con le mani e si piegò in due per un finto dolore. Il suo piccolo urlo soffocato sembrò talmente vero da far accapponare la pelle. Se non avessi saputo che era tutta finzione, sarei corsa da lei in preda al panico. La segretaria si alzò subito dalla sedia girevole, fece il giro per oltrepassare il vetro che la separava dalla "povera ragazza malata" e corse al suo fianco barcollando.

«Che cos'hai?» le chiese allarmata.

Paris fece finta che il dolore le avesse dato un attimo di tregua e sollevò poco il viso.

«Mal di stomaco... d-da stamattina. Devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male.» La donna sembrò tentennare, in bilico tra il credere a ciò che le era stato detto o buttarla fuori con una sgridata. Il mio cuore perse un battito. Non avrei mai creduto di poter dire che il mio destino era tra le mani di una scialba segretaria. Nei secondi seguenti non seppi con precisione cosa accadde. Paris mi diede le spalle, ma vidi che sollevò il viso verso la segretaria; si fissarono per un secondo che sembrò durare un'eternità, poi la donna addolcì le labbra increspate, le circondò le spalle con un braccio e la trascinò con delicatezza.

«Vieni, ti porto in infermeria» la sentii sussurrare mentre si allontanavano dall'edificio. Avrei voluto capire come avesse fatto Paris a farle cambiare idea così in fretta, a farle dire la magica frase che tutte e due aspettavamo con ansia, ma non avevo molto tempo; solo un quarto d'ora, il tempo esatto che la segretaria avrebbe impiegato per portare la mia amica a destinazione e tornare indietro.

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