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La macchina si fermò con una brusca frenata. Il veicolo rimase immobile a lungo. Probabilmente eravamo arrivati, difficile però immaginare dove. Cercai di liberare le mani dalla stretta del nastro che me le intrappolava saldamente dietro la schiena, con scarsi risultati. Avrei preferito che non ci fossimo mai fermati; la sola idea di un altro contatto con quell'essere viscido mi fece accapponare la pelle. La portiera venne aperta con violenza. Il braccio di Josh si insinuò nell'auto, mi sfilò la benda dagli occhi e mi trascinò fuori. Dovetti strizzare gli occhi per qualche secondo prima di potermi abituare alla luce. La strada di fronte a me era desolata e decisamente sconosciuta. La mano di Josh premette contro le scapole, istigandomi, seppur controvoglia, a camminare. Mi riuscì difficile anche questo, ero stata per talmente tanto tempo sdraiata sui sedili da avere le gambe atrofizzate.

«Credi che nessuno si sia accorto della mia scomparsa? Ho chiamato la polizia e tu verrai arrestato per sequestro di persona!»

«Però, ne sai di cose» commentò, ridendo di gusto. «Peccato che questo sarà molto meglio di un sequestro.»

«E i miei amici!» proseguii imperterrita. «Tra poco capiranno che sono scomparsa e manderanno a monte i tuoi piani.»

La sua stretta, accompagnata da un ghigno sadico, si fece ancora più determinata.

«Amici? Oh, già, quasi dimenticavo... I piccoli ragazzini che ti hanno mentito per un anno, per non parlare di quello sciocco umano che ti ha tradita dal primo giorno in cui vi siete incontrati. Come hai detto che si chiama? Ah, Sean.»

Che cosa voleva insinuare con quelle parole? Mano a mano che passava il tempo l'idea che qualcuno mi trovasse in quel luogo abbandonato da Dio diventava sempre più remota.

«Lasciami andare!» gridai divincolandomi. Puntai i piedi per terra per cercare di guadagnare tempo e pensare ad un diversivo, ma la forza di Josh era mostruosa, di gran lunga più di quella di Seth. Affrontammo delle scivolose scalette che conducevano sottoterra e ci addentrammo in una vecchia metropolitana ormai in disuso. Il cartello "Los Angeles Subway" mi fece tirare un sospiro di sollievo: eravamo ancora nelle stessa città. Il viaggio in macchina mi era sembrato lungo un'eternità e il fatto che avessi una benda sugli occhi non aveva alterato solo la vista, ma anche la mia percezione del tempo. Le pareti, che un tempo dovevano essere state bianche, erano ricoperte di scritte di ogni genere. Alcuni tubi che correvano sul soffitto erano sconnessi e sul pavimento gocciolavano strani liquidi che formavano pozzanghere, contornate da mozziconi di sigarette e cartacce. Le colonne di cemento erano l'unico elemento rimasto intatto. Delle lampade al neon illuminavano scarsamente l'ambiente, rendendolo anonimo e spettrale. Cercai di immaginare come poteva essere stata un tempo quella metropolitana, brulicante di persone che si affrettavano a timbrare biglietti o salire sulle metro. L'immagine sfumò presto davanti a me come acqua evaporata al sole.

«Adesso siediti qui» ringhiò Josh, e mi indicò una colonna che si slanciava fino al basso soffitto. Provai a divincolarmi, ma venni colpita da uno schiaffo che mi fece sbattere la schiena alla fredda parete. Le sue mani si posarono sulle spalle e mi spinsero con forza verso il basso fino a farmi tremare e flettere le ginocchia. «Adesso ti metti qui, brutta ragazzina viziata, e mi ascolti bene!» Il suo volto si piazzò a mezzo centimetro dal mio, potevo vederlo tingersi di rosso per l'afflusso di sangue che gli raggiungeva le tempie. «Non credo che ti convenga sfidarmi. Prova a fare un solo movimento falso e giuro che ti scoverò e farò in modo che di te non rimanga neanche più il ricordo. Da ora in poi si fa come dico io...» indugiò per un attimo con espressione sdegnata «...per quel poco che ti rimane ancora da vivere.» Le sue iridi, che poco prima erano nero carbone, ora fiammeggiavano mentre si puntavano su di me. Estrasse un pugnale dalla cintura, insieme ad una corda, e si accucciò dietro la colonna.

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