prologo;

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A/N: Ho fatto un po' di casini in questi giorni con le varie traduzioni. Avevo iniziato a pubblicare una storia (7:15), ma l'ho dovuta cancellare perchè c'era già un'altra traduzione completa con un sacco di visualizzazioni e sarebbe stato inutile. Poi ho pubblicato Fall, ma ho dovuto eliminare anche quella sempre per lo stesso motivo. Adesso giuro che questa rimarrà fino alla fine, non penso ci siano altre traduzioni. E' una storia su Michael, una delle POCHE storia su di lui che ci sono in giro, ed è una delle migliori, io la adoro. Spero che piaccia tanto anche a voi e, come avevo già detto, pubblicherò il martedì e il venerdì. Ora vi lascio alla storia.

Baci, Marta

"Non aprire ancora gli occhi!" Urlò mia madre per quella che sembrava la centesima volta.

I miei occhi rimasero chiusi, ma avevo le mani estese in avanti mentre lei mi faceva strada fuori. Era il mio sedicesimo compleanno. Qualcosa che era apparentemente molto importante, ma io non mi sentivo diversa per niente. Mi sentivo la stessa di sempre; contenta, mezza vuota, ma comunque amata.

"Tesoro, amerai questa cosa." Si intromise mio padre, l'eccitazione nella sua voce mi fece sorridere.

Qualsiasi cosa fosse quella che mi avevano preso, ne erano veramente eccitati. E un po' lo ero anche io. Ma sapevo già che non sarebbe stato quello che volevo davvero. Quello che volevo era un piccolo diario marrone che avevo visto online e per cui avevo supplicato i miei genitori affinchè me lo comprassero. Io non avevo la giusta carta di credito per comprare cose online da sola nonostante le enormi paghette che ricevevo settimanalmente e quindi avevo resistito fino al mio compleanno, sperando che mi facessero una sorpresa.

Ma perché trascinarmi fuori, con le mani sui miei occhi, se era solo per darmi un diario?

"Oh, dolcezza." Cinguettò mia madre, facendomi fermare.

"Apri gli occhi." Disse mio padre.

Lo feci e mi ritrovai davanti un sacco di argento. Di fronte a me, nel vialetto, c'era una macchina di una nuova marca, di colore argento metallico. Era stravagante, brillante e nuova. Qualcosa di totalmente esorbitante ed inappropriato come regalo per una sedicenne che aveva appena avuto il permesso di prendere la patente.

"Cosa ne pensi, principessa?" Chiese mio padre, una mano sul cofano della bestia.

Io mi fissai un sorriso in faccia, sotterrando tutti i pensieri su quel diario marrone sotto una pila di falsa gratitudine. "La amo!"

Era una bugia. Amavo i miei genitori. Ma odiavo il fatto che non mi conoscessero. Odiavo che pensassero di dovermi riempire con qualcosa di costoso per farmi felice. Non la volevo. Era troppo; troppo "guardatemi".

"Lo sapevo che l'avresti amata!" Disse mia madre, tirandomi a se per un abbraccio. Mio padre si unì a noi e rimanemmo per tre secondi stretti nell'abbraccio come una famiglia.

Una buona famiglia con buone intenzioni. Ma profonda come una piscina per bambini.

Ero grata, ma sapevo di essere viziata. Sapevo che ogni altro ragazzo del mondo avrebbe pianto di felicità. Ma invece io volevo piangere e basta.

"Vai a guardare dentro." Mi incoraggiò mio padre, passandomi il portachiavi in argento.

"Okay." Dissi, cercando di forzare dell'entusiasmo nella mia voce. Se l'avevano notato non dissero niente.

Premetti il bottone sulla chiave, guardando le luci illuminarci mentre le porte si sboccavano.

L'interno era in pelle e odorava di soldi e tutto era sconosciuto. Mi misi a sedere al posto di guida e chiusi la portiera dietro di me. potevo vedere i miei genitori che mi sorridevano attraverso il parabrezza, ma erano lontani un metro l'uno dall'altra. E questa era la trama della nostra famiglia -felice ma separata.

Lo stereo sembrava troppo tecnologico per i miei gusti e il volante era freddo e duro, proprio come i sedili. Speravo che il fatto che i vetri fossero scuri significasse che i miei genitori non potevano vedermi perché smisi di sorridere come se farlo mi stava solo provocando dolore. In un certo senso era vero.

Non sapevo se mi riempivano di soldi e regali perché mi amavano, perché ero la loro unica figlia o perché si sentivano in colpa per spendere la maggior parte del loro tempo a lavoro. Qualsiasi cosa fosse, sarei stata felice solo una cena fatta in casa e un gioco di società- qualcosa che non avevamo mai fatto. Volevo del cibo cinese d'asporto sul divano di fronte ad un film o serate al bowling. Volevo una famiglia per il mio giorno speciale. Volevo un compleanno come quello di tutti i miei amici.

E la parte peggiore era che i miei amici volevano un compleanno come il mio.

all mine | ft. michael clifford (traduzione italiana)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora