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Era giovedì. Indossavo un semplice vestito nero che arrivava alle ginocchia e un paio di tacchi. Il fatto che stessi tremando significava che probabilmente i tacchi non erano stati una buona scelta. Stavo giocando con le mie dita e Michael lo notò perché allungò una mano e coprì la mia. Non mi guardò. Non mi aveva guardato per tutta la mattina e sapevo che fosse perché si stava sforzando di non perdere il controllo. Non potevo incolparlo. Questo funerale gli avrebbe fatto male. Avrebbe fatto male a tutti noi.

Preso la ferita sarebbe stata aperta. Avevo paura.

Michael stava guidando il tradizionale SUV nero. Eravamo solo io, lui e il silenzio che era pesante nell'aria come il fumo. La radio rimase spenta e noi eravamo muti come se parlare non fosse un'opzione perché non avevamo niente da dire.

Non c'era niente da dire.

Ero preoccupata per tante cose. Ero preoccupata di rivedere i miei amici per la prima volta da quando avevano deciso di odiarmi. Ero preoccupata di vederli distrutti. Ero preoccupata di vedere Michael distrutto. Ero preoccupata del fatto che la realtà di quello che era successo ad Ashton ci avrebbe colpiti tutti più forte di quanto potessimo immaginare e che ci saremmo tutti sciolti nella terra.

Ero preoccupata. E spaventata. E triste.

Anche vedere Michael con un completo nero e una cravatta mi faceva male. Questo giorno ci avrebbe perseguitato per sempre, tenendoci catturati come prigionieri che cercavano di scappare da una guerra. Ma questa guerra non era qualcosa da cui poter scappare e nessuno avrebbe vinto.

Da quello che avevo capito, il corpo di Ashton era stato mandato in Australia martedì. Il suo corpo senza vita. Freddo e senza l'anima di qualcuno talmente brillante da poter illuminare centinaia di case. Il funerale era riservato solo alla famiglia e agli amici stretti. Non ero sicura di essere davvero invitata o se fossi solo l'accompagnatrice di Michael. Comunque, volevo essere lì. Volevo dire addio per bene. Chiusura. Avevo bisogno di una chiusura. Proprio come tutti gli altri.

"Stai bene?"

Girai la testa e incontrai il suo viso. Mi guardò, mascella rigida e bocca stretta in qualcosa che sembrava preoccupazione.

Mi stava chiedendo se stavo bene. Io. E lui?

Annuì, anche se la sua attenzione era verso la strada. Dovevo mentire. Lui aveva bisogno di sentire quella bugia. "Sto bene. Tu?"

Non rispose; non parlò, non annuì e non scosse la testa. Guardò solo avanti a se.

E quella risposta era abbastanza. Non stava per niente bene. E non c'era niente che potessi fare per farlo sentire meglio oltre che stargli vicino se gli serviva.

L'aria condizionata mi stava asciugando il viso, ma non mi azzardai ad abbassarla perché Michael era impegnato a pensare e non volevo interromperlo. Volevo solo rimanere seduta ferma e zitta il più possibile con la speranza che lui non crollasse prima del nostro arrivo. Non volevo che crollasse.

Il mio stomaco si contorse quando raggiungemmo la chiesa. Ogni secondo sembrava un'ora, il palazzo diventava sempre più vicino come un nemico. Nonostante il management dei 5SOS avesse cercato di tenere il posto segreto, c'era una folla di circa cento persone sul lato, tenute indietro da un muro di guardie di sicurezza. Sapevo che avevano buone intenzioni e che anche loro stavano male. Sapevo che se fosse stato possibile i ragazzi avrebbero voluto far entrare tutti per prendere parte alla cerimonia.

Sapevo che Ashton era importante per loro.

Ma i piccoli pezzi del mio cuore si misero a bruciare quando uscimmo dalla macchina e loro iniziarono ad urlare per Michael.

all mine | ft. michael clifford (traduzione italiana)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora