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Lo specchio del bagno rimandava un'immagine del tutto accettabile di me stessa. Capelli raccolti in uno chignon ordinato, trucco leggero praticamente invisibile, sguardo deciso. Annuii soddisfatta e tornai in soggiorno: ero pronta.

Mi ci era voluto un po' per digerire il fatto che avrei dovuto chiamare David, prima, e la telefonata, poi. L'aveva fatta facile, Séline. Ma lei non era a conoscenza di tutti gli scontri che erano avvenuti con quella persona, né del fatto che non riuscissimo quasi a stare nella stessa stanza senza attaccarci a vicenda. Era una cosa di pelle, scattata il giorno stesso in cui lo avevo conosciuto, tanti anni prima. Non mi ero mai soffermata a pensare al perché ci fosse tutta quell'acredine fra di noi, ma in realtà non mi interessava neanche saperlo. Era una persona sgradevole, punto. Uno che non aveva mai tralasciato di farmi notare quanto sbagliata fossi, per Jack in particolare. E io, che ci avevo impiegato tanto per raggiungere un grado accettabile di autostima dopo gli anni della scuola in cui ogni cosa aveva remato per farmela cancellare del tutto, non ero mai riuscita a digerire né ad accettare questo atteggiamento. Da uno così, poi: fuori da ogni schema o classificazione, pieno di sé e menefreghista, incurante delle regole base di buona educazione.

Respirai a fondo, mi stava già montando il sangue alla testa al solo pensarci. Eppure era stato quasi gentile, al telefono poco prima. Irriconoscibile. Si era perfino offerto di passare a prendere il documento per non farmi uscire di casa, visto il cattivo tempo. "Non mi costa niente, passo prima di andare in aeroporto", aveva detto. Mi ero talmente stupita di questo gesto che ero rimasta muta per svariati secondi e poi lo avevo ringraziato appena. Di questo mi dispiaceva, in realtà. Certo, si trattava pur sempre di David, ma non era mia abitudine rispondere con una scortesia a un gesto gentile. Avevo percepito che non aveva gradito la mia risposta, ma ormai il danno era fatto. Magari mi sarei scusata di persona, se ci fosse stata l'occasione.

Misi a posto una piega inesistente della maglia e mi sedetti sul divano con l'intenzione di ingannare l'attesa continuando a stilare la mia lista di cose da visitare. Ma ero nervosa e mi era impossibile concentrarmi. Temevo quell'incontro, per quanto avrei cercato di farlo durare il meno possibile. In fin dei conti avrei dovuto solo consegnargli una busta... Visti i rapporti fra noi non ero certo tenuta a fare conversazione o, peggio ancora, a invitarlo a entrare in casa per bere qualcosa. Quindi perché preoccuparsi... ma tra il dire e il fare c'era il classico oceano. Avevo paura che avrebbe fatto qualche battuta di cattivo gusto sulla rottura con Jack e che, in quel caso, tutto il mio autocontrollo, quello che mi aveva permesso di non crollare fino a quel momento, sarebbe volato via come sabbia nel vento. Non volevo dare spettacolo, non di fronte a lui. Mai di fronte a lui. Avevo anche curato il mio aspetto in modo particolare, affinché sembrassi la solita Evangeline, non una poveretta tradita e scaricata, fuggita per ritrovare una parvenza di equilibrio interiore.

Un tuono mi fece sobbalzare. Stavo scarabocchiando nel taccuino parole senza senso, i nervi a fior di pelle. Guardai l'orologio: era quasi mezzogiorno. David sarebbe arrivato da un momento all'altro.

A conferma di quel pensiero il suono del campanello rimbombò nella stanza silenziosa. Sebbene me lo aspettassi, sobbalzai di nuovo e mi alzai di scatto con il cuore in gola.

'Calmati, ragazza. Devi solo consegnargli la busta, nient'altro. Non parlare, non lo guardare. Se ne andrà prima che tu te ne renda conto', dissi fra me e me mentre mi avvicinavo alla porta d'ingresso per aprire. Ma, per quante volte mi ripetessi che sarebbe stato affare di un paio di minuti, ero un fascio di nervi. La busta contenente il prezioso documento firmato era pericolosamente vicina a fare una brutta fine, fra le mie dita nervose.

Quando udii l'ascensore fermarsi al piano aprii la porta d'ingresso. Il pianerottolo era in penombra e non fui in grado di vedere bene David fino a quando non fu davanti a me.

"Ciao Evangeline" disse, con tono freddo e distaccato. Sembrava un'altra persona e non riuscii a evitare un'espressione sorpresa nel vederlo vestito in giacca e cravatta, con tanto di cappotto scuro per proteggersi dal cattivo tempo. Forse non l'avrei riconosciuto, se lo avessi incontrato per strada abbigliato così. Di solito passava da jeans strappati e anfibi a tute informi e canotte inguardabili. Ora non aveva niente da invidiare a un modello di Armani. Anche i capelli, sapientemente spettinati, gli conferivano un certo fascino. Per la prima volta da che lo conoscevo mi passò per la mente il dubbio che, forse, c'era qualche lato di David che non conoscevo affatto e che, magari, non era pessimo come il resto.

"Ciao" ebbi la presenza di spirito di dire, nonostante avessi la testa a mille miglia di distanza. "Ecco la busta, grazie". Breve, secco, definitivo, senza possibilità di appigli per dialoghi o altro. Ora se ne sarebbe andato e io avrei ripreso a respirare.

David allungò la mano in silenzio e prese il plico, mettendolo subito nella tasca interna del cappotto.

Solo che poi rimase immobile a fissarmi.

Lo intuii, più che vederlo, perché i miei occhi puntavano verso un poco interessante quadretto appeso sulla parete del pianerottolo, a metà strada fra l'appartamento e l'ascensore.

All'improvviso sentii le sue dita sul mio mento e, prima che potessi impedirglielo, aveva alzato il mio viso verso di sé. A quel punto non potei fare a meno di guardarlo. I suoi occhi neri stavano scrutando nei miei come se volesse arrivare a leggermi l'anima. Aveva un'espressione perplessa. E sincera, anche.

"Guarda che non è grave fare vedere che si sta male perché una storia è finita", disse infine. "A tenere tutto dentro esploderai, credi a me".

Mi mossi di scatto e riuscii ad allontanare il viso da quelle dita. Il punto su cui si erano appoggiate bruciava. Ma chi si credeva di essere?

"Non mi pare di averti chiesto consigli, né di averne bisogno, quanto a questo. So io cos'è meglio per me", replicai gelida. Cosa gli era saltato in mente? Perché non se ne andava e basta?

"Ne dubito" rispose, "stai solo facendo finta che non sia successo niente, ma non è così che supererai la rottura con Jack."

"Vattene!" esclamai, prima di riuscire a fermarmi. "Non ti ho chiesto niente, non gradisco che tu ti immischi nella mia vita, non mi interessa quello che pensi. Devo continuare?" Tremavo dalla rabbia, nessuno mai era riuscito con così poche parole a farmi perdere il controllo in quel modo.

"No, sei stata chiara", rispose annuendo con la testa, l'espressione del suo viso divenuta dura e fredda. Emise un sospiro. "Solo che stavolta non ti darò retta, per quanto ne abbia voglia. Sei una bambina immatura e mi dai sui nervi. Ma sei sola, in questa città che conosci poco, in un momento della tua vita in cui non dovresti esserlo, per quanto ti ostini a negare l'evidenza. E anche se vorrei mandarti al diavolo, la mia coscienza non me lo permette. Per cui quando tornerò da Londra, credo domani sera, mi rimetterò in contatto con te per vedere come stai. Che ti piaccia o no."

Nell'ascoltare quelle parole ero impallidita ma non ero riuscita a replicare, ancora troppo scossa per come gli era stato facile leggermi dentro nonostante all'apparenza io sembrassi quella di sempre.

Non fui in grado di dire nulla. Così gli voltai le spalle e chiusi l'uscio di casa, appoggiandomi a essa subito dopo, senza forze. Scivolai a terra e chiusi gli occhi, mentre mi arrivava alle orecchie, attutito dalla porta, il rumore dei passi di David che si allontanava fino a svanire.


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