14.

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Parigi scorreva davanti ai miei occhi senza che me ne rendessi conto: avevo spento il cervello dal momento in cui avevo iniziato a seguire David attraverso i corridoi dell'Opéra e poi nel salone dove si svolgeva la festa. Ricordavo vagamente di avere salutato Alain e poi di essere uscita per andare a prendere l'auto. Ci ero salita come un automa ed ero sprofondata nel sedile, rimanendo immobile a fissare attraverso il finestrino il panorama notturno della capitale francese, senza in realtà vederlo. Tutto quello che era successo in quella giornata mi stava arrivando addosso a ondate e faticavo a mantenere un minimo di lucidità. Mi martellava in testa il rimprovero di non essere rimasta a godermi in pace la serata che mi aveva regalato Alain, fregandomene del comportamento irritante di David, e di avere invece seguito l'impulso di vagare nei meandri dell'Opéra fino a perdermi, con il risultato finale di essere andata in crisi al solo udire una musica particolarmente bella. Se non avessi commesso quell'errore madornale avrei concluso alla grande la giornata, godendomi quella festa straordinaria fino in fondo.

Invece no. Per seguire l'impulso del momento era andato tutto storto e, come ciliegina sulla torta, dovevo sopportare la compagnia di David fino a casa. Proprio lui, che era stato la causa principale della mia voglia di stare un po' da sola a smaltire l'arrabbiatura. L'unico lato positivo, in quel momento, era che aveva almeno il buon gusto di stare zitto limitandosi a guidare e lasciandomi macerare nei miei pensieri. Non vedevo l'ora di essere nell'appartamento di Séline, sprofondata nella vasca da bagno per rilassarmi e cancellare ogni traccia di quella giornata. Anche avere scoperto che il mio accompagnatore non era il perdigiorno scansafatiche come avevo sempre pensato contribuiva ad aumentare il fastidio, perché mi costringeva a rivedere alcune idee che avevo su di lui. Speravo solo che, terminato quel breve tragitto, le nostre strade non si sarebbero più incrociate, né a Parigi né altrove.

"Evangeline, tutto bene?"

Le parole di David, pure dette a bassa voce, esplosero nel silenzio dell'abitacolo come una bomba e mi fecero fare, mio malgrado, un salto sul sedile. Se possibile, ciò mi maldispose ancora di più nei suoi confronti e decisi di non rispondergli. Non ne avevo proprio voglia, così mi limitai a mugolare una specie di "sì" praticamente inintelligibile e a scrollare le spalle, girando un po' di più la testa verso il finestrino, in modo che fosse ben chiaro che non avevo alcuna intenzione di fare conversazione.

Con la coda dell'occhio lo vidi lanciare un rapido sguardo verso di me, forse per capire se avessi sentito oppure no.

Provai ancora più rabbia nei suoi confronti. Come se gli fosse interessato davvero. Quanto stonava un tono preoccupato in bocca a lui, soprattutto se rivolto verso di me. Pensava davvero che mi sarei bevuta la sceneggiata dell'amico preoccupato?

"Risparmia pure la finta compassione, tanto qui non ti crede nessuno", sbottai infine cambiando idea sul non rispondere, il desiderio di mettere le cose in chiaro ebbe il sopravvento. Che non pensasse che, solo perché mi aveva colta in un momento di difficoltà, poteva permettersi di prendersi gioco di me.

Udii un breve sospiro, poi silenzio. A occhio ero andata a segno, meglio così. Solo che ora l'atmosfera si era fatta pesante, non desideravo altro che di uscire da quella macchina e rintanarmi a casa di Séline.

"Per quanto ti possa sembrare incredibile, mi dispiace vederti in questo stato", lo udii dire con tono stanco, quasi come se stesse parlando a sé stesso.

Scoppiai a ridere, più per tutto lo stress accumulato che perché trovassi ridicole le sue parole. "Te l'ho già detto, puoi risparmiarti questa sceneggiata. Tanto so che neppure una parola è vera... Ehi! Sei impazzito?" gridai nel momento in cui schizzai in avanti, per fortuna bloccata dalle cinture di sicurezza: David con una brusca sterzata era arrivato a bordo strada e aveva inchiodato.

10 giorniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora