Capitolo 17 Umiliazione

118 12 0
                                    


"Non fare finta che te ne importi qualcosa. Tuo padre mi ha tolto il mio, ancora prima che venisse ucciso. Non era più lui dopo che aveva iniziato a bere. È tutta colpa sua" stringe i pugni in preda alla rabbia.

Vorrei dirgli qualcosa ma le parole mi muiono in gola.

"E tu sei uguale a lui. Vi importa solo di voi stessi, siete abituati ad ottenere quello che volete fregandovene delle conseguenze. Sei solo una ragazzina viziata, se penso che la vita di molte persone dipenderà da te mi viene da ridere"

"Hai ragione! Non l'ho scelta io questa vita e se fosse dipeso da me non l'avrei mai fatto. Ma ormai ci sono dentro, sono una prescelta e che ti piaccia o no siamo destinati a convivere" lo interrompo nervosa.

"A convivere si, ma non ti accetterò mai, devi starmi lontano" esclama rabbioso.

Si muove verso la sua camera e istintivamente lo trattengo per un braccio.

Si gira di scatto e in un'impeto di rabbia mi spinge contro il muro, si avvicina così tanto che i nostri nasi si sfiorano.

"Non mi toccare mai più" minaccia guardandomi negli occhi con cattiveria.

Ammetto di avere paura, brividi mi corrono lungo la schiena.

"Non voglio che.." nonostante la paura, la voglia di farlo ragionare prevale ma lui mi interrompe.

"Perché?" Chiede premendo le sue mani sulle mie spalle, impedendomi di liberarmi dalla sua presa.

È così vicino che sento il suo respiro su di me.

Rimango stupita dalla sua domanda.

"Perché cosa?" Chiedo titubante.

"Perché ti importa così tanto di sistemare le cose?" Chiede duro.

Ha ragione.
Perché ci tengo così tanto?
Dobbiamo avere un buon rapporto perché dovremo affrontare molti pericoli insieme.
Ma so che è una bugia, o perlomeno non è tutta la verità..

"Ah ho capito" esclama in un ghigno interrompendo i miei pensieri.

Deglutisco nervosa in attesa delle sue parole.

Porta con forza una mano sul mio viso premendola sul mento, rigirando la mia faccia a suo piacimento.

Il sorriso che gli compare sul volto ha qualcosa di sadico.

"Sei abituata ad avere tutto quello che ti piace e io ti piaccio non è vero?"

"No.." intervengo ma lui mi poggia un dito sulle labbra impedendomi di parlare.

"Hai posato i tuoi occhietti su di me dal primo momento che mi hai visto, non sono stupido Katniss" sussurra divertito avvicinandosi ancora di più.

È così vicino che per non scontrare i nostri nasi devo girare il volto.
La mano che mi stringeva la spalla ora scivola sui miei fianchi, l'altra la porta sulla mia testa, stringendo i miei capelli nelle sue dita.

Il suo respiro mi fa il solletico.

"Ammettilo Katniss, ammettilo che mi vuoi" sussurra al mio orecchio, provocandomi brividi su tutto il corpo.

Odio quello che sta facendo, odio che abbia capito che mi piace, ma soprattutto odio quello che sto provando in questo momento.

Schiaccia ulteriormente il suo corpo contro il mio e sento che il mio autocontrollo sta cedendo sempre più velocemente il posto al desiderio che ho di lui.

Il viso mi brucia, così come il mio orgoglio che sta urlando di non dargliela vinta.

"N-no" balbetto, vergognandomi ancora di più della mia voce rotta.

Il profumo di Jake è inebriante, seducente.
Vorrei spingerlo via, ma non ci riesco, e  non solo perché lui è più forte di me, è come se il mio corpo non reagisse ai comandi, le gambe sono molli e vorrei solo abbandonarmi tra quelle braccia muscolose.

Jake si distacca leggermente, pochi millimetri, quelli che servono per permettergli di guardarmi negli occhi.

Avvampo.

"Sento il tuo respiro, percepisco il tuo desiderio. Sei come una bambola nelle mie mani" dice deridendomi.

Sto per intervenire ma lui non me ne da il tempo.

"Katniss neanche se fossi l'ultima donna sulla terra starei con te. Nemmeno per una notte" dice gelido, con occhi affilati come lame.

Sento il cuore perdere un battito. L'orgoglio che prima sentivo bruciare, ora è come se mi stesse consumando.
Vorrei rispondergli, metterlo a tacere, umiliarlo come lui ha fatto con me, ma non ci riesco, rimango immobile a guardarlo.

Jake si stacca di colpo, guardandomi con superiorità e soddisfazione, beandosi di aver giocato con me.
Si volta e inizia ad incamminarsi verso la stanza ma si blocca di nuovo e si volta un'ultima volta.

"Sono abituato a standard più alti" dice perfido prima di varcare la porta.

Eccolo il colpo di grazia.
Rimango al buio, immobile dove mi ha lasciata, appigliata al muro e incapace di fare un passo.

Sento le lacrime pungermi gli occhi.

Jake mi ha umiliata, ha giocato e mi ha trattata come una ragazzina che non vale niente.

E io gliel'ho lasciato fare.

Prescelta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora