Capitolo 6- Il ragazzo al pianoforte

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Mi volto di scatto con l'intento di colpire con un pugno chi mi ha fermato.
Non può essere stata Carmen, riconoscerei le sue piccole mani delicate.
Lo sconosciuto mi blocca le mani con le sue, stavolta con una presa più delicata, e me le appoggia sul suo viso, più alto del mio di circa 15 cm.
Sento un po' di barba sotto le mie mani, che mi ricorda quella così pungente di mio padre.
Continua a tenere le sue grandi mani calde sulle mie e il tocco mi trasmette così tranquillità che torno a respirare a ritmo più regolare.
Tengo gli occhi spalancati e cerco con tutta la forza di scavare dentro quel buio.
Ma gli strati di oscurità sono troppi.
Perdo il controllo e dai miei occhi cadono tutte le lacrime trattenute in questi anni.
Libero le mie mani dalla sua presa e abbasso la testa.
Sto per correre dalla parte opposta, ma lui mi afferra per il polso e mi fa voltare verso di lui.
Appoggia le sue mani sulle mie guance e mi solleva la testa.
Tengo gli occhi serrati e tremo di nuovo.
«Apri gli occhi.»
La sua voce è roca e calda, il tono delicato.
Continuo a tenere gli occhi chiusi, ma non sono più serrati stretti.
Disegna dei cerchi con i pollici sulla mia pelle e sento il suo calore più vicino.
Si è avvicinato.
Dovrei correre o urlare.
Dovrei aver paura.
Ma invece apro gli occhi.
Sono sicura che siano rossi per le lacrime e le mie iridi di un blu più scuro, quasi grigiastro.
Vorrei poter vedere anche io i suoi occhi, chissà come mi stanno guardando.
Chissà se con pena, disprezzo o pietà.
Continuo a rivolgere lo sguardo a destra e a sinistra, in basso e più in alto, sperando di guardare con i miei occhi dentro i suoi.
«Come ti chiami?» - mi chiede accarezzandomi la guancia.
Sono interdetta dalla sua domanda.
Mi sarei aspettata un qualcosa tipo "Che problema hai agli occhi?" oppure "Ma non sarai mica cieca!".
Invece ha chiesto il mio nome.
«A-a-alba» - rispondo dopo qualche secondo balbettando.
«Hai un nome meraviglioso, sai?»
«Tu chi sei?»
Avrei voluto usare un tono più sicuro, ma mi è uscita una voce stridula per il pianto.
«Sono il ragazzo che stava suonando al piano.»
Oh.
«Perché hai smesso? Perché sei qui?»
«C'era tantissima gente, ma sarebbe stato difficile non notare la tua presenza. Chissà perché ho aperto gli occhi proprio verso la tua direzione... e ho incontrato il tuo sguardo.»
«Ma tu non mi stavi solo guardando. I tuoi occhi erano dentro i miei, ma allo stesso tempo non guardavano me.» - aggiunge non sentendo una mia risposta.
«Sono cieca, tutto qua.» - dico fredda.
Lui non risponde.
Sicuramente l'ho sconvolto e adesso andrà via, come sempre.
Invece sento ancora la sua presenza.
«Eri immersa nella musica, tutto qua.» - replica con tono sicuro.
«Può darsi...»
«Ti piace la musica?» - mi chiede.
Sta davvero cercando di condurre un dialogo con me?
«Più che altro amo il pianoforte.» - rispondo fredda.
«Lo suoni?»
«Credi sia nelle condizioni di farlo? Ti ho detto che sono cieca.» - rispondo, forse troppo dura.
«Credi serva la vista per suonare un pianoforte? Beethoven ha perso l'udito e nonostante questo continuava a comporre pura arte.
E io... beh non sarò un esempio al pari di Beethoven, ma suono sempre ad occhi chiusi. La musica supera qualsiasi senso, perché essa stessa è un senso a parte, secondo il mio umile parere.»
Ha ragione, ma non glielo direi mai.
«Devo tornare indietro da Carmen, ciao.» - lo saluto.
«Chi è Carmen?» - mi chiede.
«La mia ... beh, non importa. Devo andare.» - dico a bassa voce.
«È la signora che era accanto a te?» -mi chiede.
«Sì, la vedi?»
Ho davvero bisogno del suo aiuto, non so se riuscirei a trovarla.
«Ci sta guardando. Non ti ha perso di vista un attimo. Se non ti avessi bloccata io, l'avrebbe fatto lei qualche secondo dopo.»
Sono davvero sollevata.
«Perché mi hai seguita?» - gli chiedo.
«Perché no?» - replica.
«Dov'è Carmen?»
«Alla tua destra, a quindici metri circa.»
«Bene. Allora... grazie mille.» - dico con un tono più dolce.
«È stato un piacere, Alba.»

SPAZIO AUTRICE
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