Augusto II e la guerra al caramello

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Octavian la guardava senza proferire parola. Alla fine, Reyna era riuscita a prendere un tavolo prima che lui arrivasse e si era sentita importante e fiera di se stessa.

Lui era arrivato correndo ed era inciampato sull'entrata, cadendo a faccia avanti e attirando l'attenzione di tutti i clienti del locale su di sé.

La ragazza aveva roteato gli occhi, alzandosi dal suo posto per aiutarlo. «Stai bene?» gli aveva domandato, prendendolo per una spalla e facendolo rialzare barcollando.

«Sì, certo» aveva ribattuto lui in tono freddo e distaccato, spolverandosi con il dorso della mano sinistra la spalla destra, come se toccare il suolo fosse per lui l'avvenimento più indegno e schifoso sulla faccia della terra. «Non mi faccio male per una caduta»

«Uhm, okay» Reyna aveva alzato le spalle con nonchalance. «Allora, vogliamo metterci al lavoro?»

«Certo»

Mentre si avviavano verso il tavolo da lei precedentemente occupato, Reyna scorse con la coda dell'occhio il ragazzo dello Starbucks, Jason, guardarla e sorridere leggermente. Non sapeva se essere seccata o lusingata da quel comportamento, così... intimo. La verità era che non ci era abituata. Il rapporto più stretto che Reyna aveva avuto in tutta la sua vita era stato quello con sua sorella Hylla, e quello era tutto dire: le due litigavano in continuazione (seppur in realtà si volessero bene reciprocamente) e molte volte si erano voltate le spalle a vicenda. Certo, Reyna aveva avuto dei ragazzi, ma tutti erano stati delle cotte passeggere, un qualcuno con cui passare un po' di tempo il sabato sera: non li aveva mai preso sul serio, anche perché loro sembravano sempre trattarla come un proprio possedimento personale, e a lei questo non piaceva affatto. Lei voleva essere libera di fare le proprie scelte e di poter girare per San Francisco senza avere la costante sensazione di essere spiata.

«Quindi su cosa vuoi lavorare, precisamente?» chiese Octavian non appena si furono seduti al tavolo, tirando fuori gli appunti dallo zaino che portava.

Reyna esitò. «Non... avevamo un soggetto già definito sul quale ci era stato chiesto di scrivere?»

Il ragazzo annuì, socchiudendo gli occhi azzurri. «Ottaviano Augusto. Il mio omonimo. Ma su quale suo aspetto vuoi concentrarti?»

«Non so. E tu?»

«Per me va bene ogni aspetto: la politica, il consenso, il principato... So tutto su di lui. Ah, ho anche portato un libro per un approfondimento più delineato» E tirò fuori dallo zaino un mattone di circa tre chilogrammi. «Sai,» continuò poi, «Ottaviano era un ottimo uomo politico, anche se un generale non troppo abile. È riuscito a mantenere la finzione sulla quale si basava il suo principato fino alla fine. In pratica, teoricamente le istituzioni della Repubblica erano di nuovo in vigore, più potenti che mai, ma in realtà era solo Ottaviano quello che prendeva le decisioni all'interno dello Stato. Ecco perché gli storici non parlano di imperatore nei suoi confronti, ma di princeps, perché lui era il primo dei magistrati»

Reyna sollevò un sopracciglio. «Con questo vuoi spingermi a lavorare con te sulla finzione di Ottaviano e su quanto lui fosse bravo a mantenerla, Octavian? È un obbligo implicito, proprio come quelli che faceva lui? Astuto, da parte tua, Augusto II» osservò.

Octavian ghignò. «Hai scoperto la mia tecnica, pretore. Inchinati alla mia potenza»

«D'accordo, questa cosa si sta spingendo troppo oltre» rise lei, «Perché non iniziamo a buttare giù un'idea per questo saggio, invece?»

«Mh, certo»

«Qui dice» Reyna sfogliò il librone portato dal suo compagno di ricerche, stufa del fatto che dovesse essere sempre lei a fare tutto il lavoro, mentre Octavian se ne stava semplicemente lì a mangiucchiare il tappo della penna, che poi era quella che lei gli aveva prestato, «che Ottaviano applicò una larga politica del consenso, basata anche sulle frumentazioni e sugli spettacoli pubblici, chiamata dagli storici Panem et circences. Secondo te può essere utile?»

Il ragazzo annuì, dicendo con aria di chi la sa lunga: «Tutto ciò che Ottaviano Augusto ha fatto è utile»

«Senti, potresti aiutarmi, invece di non fare niente?» domandò lei, lanciandogli un'occhiataccia.

Lui la osservò con le sopracciglia corrugate. «Ascolta, Reyna, io ho portato il libro, okay? Allora tu lavora per entrambi, adesso»

«Cosa?! Portare un libro ti sembra un affaticamento tanto grande da farmi scrivere tutta la relazione da sola, Octavian?»

«Se sono io a portarlo, sì. Inizia ad imparare come va la vita, Reyna» rispose lui, incrociando le braccia dietro la testa.

Lei serrò la mascella. «Ma hai detto tu di voler scrivere sulla finzione di Augusto» ringhiò.

Octavian alzò le mani in sua difesa. «Io non ho mai detto niente. Sei stata tu a dirlo per me»

La ragazza sbottò: «Ah, sei proprio come lui: pieghi gli altri alla tua volontà senza che se ne accorgano!»

«Non è mica colpa mia se gli altri ci cascano»

«Tu, lurido...»

«Tutto bene?» Un'altra voce richiamò l'attenzione di Reyna, che si voltò di scatto. Il ragazzo di prima, Jason, era accanto al loro tavolo, e li stava fissando con aria interrogativa.

«Scusate» disse poi, cogliendo la tensione che si è creata, «dovevo solo ridarti i soldi, Reyna»

Lei lo guardò un attimo in confusione, pensierosa. Cosa avrebbe dovuto fare? In realtà, i suoi soldi non le interessavano minimamente, e non voleva rubarglieli, anche perché alla fine aveva avuto la sua cioccolata e si sarebbe sentita una ladra ad accettarli. Però allo stesso momento voleva scappare via di lì e liberarsi di Octavian, con cui non poteva passare due minuti ché poi si arrabbiava.

«Ho rovinato il vostro appuntamento?» chiese Jason, non sentendo una risposta.

Octavian strabuzzò gli occhi. «Quale appuntamento?!»

Reyna scosse la testa e scrollò le spalle, poi si rivolse a Jason: «Ti va se ci allontaniamo un attimo?»

«Mh, okay» Lui fece spallucce e la seguì ad un altro tavolo. «Ho rovinato qualcosa?» ripeté poi, non appena si furono seduti.

Reyna poteva avvertire lo sguardo furente ed incredulo di Octavian squagliarle le spalle. Che si fottesse pure, pensò.

«No, davvero. Octavian non è neanche il mio ragazzo. Solo un... compagno di college antipatico con cui sono finita in coppia per fare una ricerca»

Il ragazzo alzò un sopracciglio. «Davvero? Credevo ci fosse feeling tra di voi»

«Non essere stupido!» disse Reyna, arrossendo violentemente. «Io lo odio»

Silenzio.

«Okay, ehm, perché siamo qui?»

Jason si schiaffò una mano in faccia. «Oddio, scusa. Devo ridarti i soldi. Ecco a te» sorrise, passandole quei quattro dollari che teneva in mano da circa mezz'ora.

«Grazie, ma non servono. Davvero»

«Ti prego, prendili» insistette lui, chiudendole la mano a pugno sulle monete che le aveva dato. «Non sopporto il fatto di avere debiti»

Reyna rise. «Non è un debito. Alla fine l'ho avuta, la mia cioccolata. Grazie lo stesso... Jason, vero?»

«Sì. E scusa Dakota. Ho... visto la tua faccia, prima» si sbrigò a spiegare lui, osservando il suo sguardo interrogativo, «Ecco, lui può essere un po'... un po' troppo espansivo, a volte»

«Sì, ho notato» rise lei, osservando con la coda dell'occhio il ragazzo al bancone parlare con una ragazza dai lunghi capelli biondi. «Non torni a lavorare?» gli chiese poi, squadrandolo.

Jason si passò una mano fra i capelli biondi e si morse il labbro. «No, ho finito il turno proprio ora»

Lei inclinò la testa per guardarlo da un'altra angolatura. Era carino anche così. «Oh, allora posso offrirti da bere?» gli propose allora Reyna, mostrandogli i dollari appena ricevuti.

«Non devi tornare dal tuo...?»

«Octavian? Oh, no. Lo lascio un po' da solo a sbollire. Allora?» ripeté, «Che ti prendo?»

Jason sorrise. «Una cioccolata calda con caramello»

Starbucks - JeynaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora