Forse troppo

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«Okay, sento di aver sbagliato a prenderla come una sfida» Reyna tirò un sospiro di frustrazione, mentre cercava di terminare la seconda delle quattro cioccolate calde che aveva richiesto. «Non ce la faccio più»

«Senti?» Jason alzò un sopracciglio. Seduti sulle scale del palazzo di fronte il locale, i ragazzi erano lì da circa venti minuti.

Lei roteò gli occhi. «Ascolta,» disse, «non mi farò battere da te al mio gioco... oddio, qual è il tuo cognome?»

Il ragazzo rise. «Io mio cognome?! È così che socializzi con le persone, Reyna?»

«Io non socializzo e basta. Mi dici il tuo cognome, sì o no?»

Jason si passò una mano nei capelli biondi. «Grace» mormorò. «Il mio cognome è Grace»

Reyna gli sorrise timidamente. «Non mi farò battere da te al mio gioco, Grace» ripeté, drizzando le spalle. Sembrava una dea, mentre lo faceva. Aveva una fierezza che Jason aveva visto in pochissime persone in tutta la sua vita.

Lui rise e le circondò le spalle con un braccio; lei gli lanciò un'occhiataccia a quel gesto e lui fu costretto a ritirarsi.

Il ragazzo scosse la testa, chiedendosi perché diavolo avesse fatto un gesto del genere come se lui e Reyna avessero avuto anni e anni di amicizia alle spalle. La risposta arrivò quasi subito, fresca e innocente. Forse Dakota ha ragione. Però, Jason si era ripromesso di andarci piano. Insomma, non aveva nemmeno smesso di soffrire per Piper...

«A che pensi?» domandò Reyna, con un'espressione così dura che neanche una palla demolitrice avrebbe potuto abbattere.

Il ragazzo scrollò le spalle. «Penso che se non smetti di bere cioccolata calda ora ti sentirai male. Davvero»

«Forse hai ragione» sospirò lei, rassegnata. «Hai vinto, Grace»

Lui rise. «Ah, davvero? E cosa ho vinto, sentiamo?»

Reyna fece un sorrisetto. «Niente, probabilmente. Ma ora devo andare. Lascio a te il resto, okay?» E indicò i bicchieri di bevanda restante.

La ragazza provò ad alzarsi, ma barcollò pericolosamente e si risedette subito sulle scale accanto a Jason.

Lui la guardò preoccupato e, scattando in piedi, si offrì di aiutarla con un gesto della mano.

«Ce la faccio da sola, grazie» rispose lei, fredda. Jason si chiese se lui avesse fatto qualcosa di sbagliato per aver causato quell'improvviso cambio d'umore.

Reyna provò a rialzarsi, ma, constatando che riusciva a stare a stento in piedi, Jason la fece appoggiare su di lui.

«Insisto», disse. «Dai, ti accompagno dove vuoi. A casa?»

La ragazza annuì piano, anche se riluttante all'idea. «Okay, credo di star per vomitare»

Il biondo le mise un braccio intorno alla vita che, se osservata non sembrava, era strettissima e sorresse il suo peso. Reyna profumava di limone e di rosa, e il suo corpo era caldo e faceva venire voglia di un abbraccio. Però, pensò il ragazzo, lei gli avrebbe piuttosto dato uno schiaffo.

Il tragitto verso casa di Reyna fu breve e doloroso. Lei gli dava indicazioni e lui la guidava (accaparrandosi continui «Ce la faccio da sola» dalla ragazza) - vedendola davvero stanca e sofferente - verso l'appartamento, che si trovava al sesto piano di un condominio nella periferia della città.

«Quindi non vivi al campus?» chiese il ragazzo, mentre lei infilava le chiavi nella toppa della porta di casa.

«No» rispose la ragazza, spingendo la porta verso l'interno e rivelando a Jason un appartamento ordinato e pulito (il contrario del suo, che continuava ad apparire a soqquadro anche quando lui provava a rimettere in ordine) dalle pareti appena dipinte di un tenue lilla che impregnava ancora l'aria di puzza di vernice.

Starbucks - JeynaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora