L'inverno sta arrivando

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Jason si alzò dal letto con un gran mal di testa e nessuna voglia di andare a lavoro. Si stavano avvicinando le vacanze di Natale, e lui - come probabilmente tutti i suoi amici - non vedeva l'ora di passare un po' di tempo in pace e tranquillità. Si fece un caffè nero, una doccia e si mise un paio di jeans blu e un maglione che aveva comprato sotto consiglio di Percy un anno prima: era un semplice maglione di lana bianco con un disegno blu sul davanti che raffigurava il mare e la scritta "Sono un ragazzo da spiaggia", il che era abbastanza strano da indossare, in quelle giornate così fredde. Si infilò il giubbotto con calma, sicuro che sarebbe comunque arrivato allo Sturbacks anche con largo anticipo.

Fu mentre stava prendendo le chiavi di casa che il campanello suonò. Reyna, pensò. Ultimamente i due avevano stretto un legame particolarmente intimo, e ormai era quasi abituale che uno dei due andasse a chiamare l'altro per fare colazione insieme e augurarsi buona fortuna per la giornata ("Anche se non so quanto ti possa essere utile un augurio del genere da qualcuno che di fortuna non ne ha", gli diceva sempre lei ridendo).

Jason corse alla porta, ansioso di dare il buongiorno alla ragazza e di scambiare quattro chiacchiere con lei. Voleva stare con lei, perché quando stava con lei si sentiva bene.

Strinse la maniglia nella mano e la girò affatto lentamente, volenteroso di salutare la sua amica. Spalancò la porta e «Buongiorno Reyna, come andiamo oggi?» disse.

«Ehm... Non sapevo di essere diventato una ragazza, a dire il vero» fece in risposta una voce maschile.

Jason spalancò gli occhi, un po' per la sorpresa, un po' per la brutta figura che aveva fatto.

«Percy!» esclamò, alzando lo sguardo e sporgendosi in avanti per abbracciare il suo bro. «Quando intendevi avvisarmi del tuo arrivo?» chiese con tono divertito, dando pacche sulla spalla destra del ragazzo.

«In realtà,» rise Percy, «volevo fosse una sorpresa»

«A quanto pare, stava aspettando qualcun altro, Testa d'Alghe» Il tono comprensivo di Annabeth Chase arrivò chiaro e tondo alle orecchie di Jason, che si accorse solo ora della sua presenza, tanto era concentrato sulla sua (così tanto attesa) riunione con Percy.

«Ehi, Annabeth. Ciao», disse imbarazzato, sorridendole debolmente, per poi spostarsi dalla porta e invitare i suoi amici ad entrare in casa.

«Non è cambiata quasi per niente, Jason» notò subito la bionda, ormai addestrata a notare qualsiasi dettaglio riguardante case o edifici.

Jason non rispose, consapevole che non ce n'era bisogno, e si infilò le mani nelle tasche dei jeans.

«Quindi,» Percy arricciò le labbra, indirizzando una strana occhiata verso il ragazzo. «chi sarei io?»

Jason rise. «Il mio bro?»

Annabeth si schiaffò una mano sulla fronte. «Intendeva la ragazza che hai nominato, Jason»

«Oh. Oh, Reyna» Il ragazzo si passò le dita fra i capelli, scuotendo leggermente la testa. «È... una mia amica»

«Amica?» domandò Percy, con tono ironico.

«Senti, il fatto che io conosca una ragazza non ne fa automaticamente la mia fidanzata»

«E chi ha parlato di fidanzata? Io pensavo più ad una scop-»

«Forse è meglio se non continui, Testa d'Alghe» Annabeth lanciò al suo ragazzo un'occhiata incandescente, che lo colpì nella parte alta del cranio. Jason immaginò il capo del suo amico squagliarsi sotto i raggi laser sparati dagli occhi della bionda.

Percy rise, piegando la testa in avanti.

«Allora bro,» fece poi, «come va la tua vita qui?»

«Procede normalmente, bro. Che devo dirti? Non è che abbia molto tempo libero, con il mio lavoro» Ricordandosi dello Starbucks, Jason controllò l'ora dall'orologio che teneva appeso alla parete della piccola cucina del suo modesto appartamento. Non era ancora ora. Grazie al cielo, Jason era sempre stato un tipo che preferiva abundare quam deficere, quindi aveva ancora un po' di tempo per parlare con i suoi amici.

«Però hai tempo per farti un'amica»

«Percy!»

«Eddai Sapientona, fammelo stuzzicare un po'. Non lo vedo da così tanto tempo!» si lamentò il moro, avvicinandosi a Jason e pizzicandogli una guancia con le sue dita sottili.

Il biondo sospirò. «Che devo fare con te, Perce?»

«Pensa a me che ci vivo!» si intromise ancora Annabeth, continuando ad osservare ogni angolo della casa di Jason. In effetti, pensò il ragazzo, come facevano due persone così diverse a stare insieme da così tanto tempo? Si completavano, forse. O forse erano fatti semplicemente per stare insieme, e non l'avevano deciso loro ma il fato stesso. Jason non lo sapeva. Non si era mai chiesto cose del genere, e, se qualche volta l'aveva fatto, non ci si era soffermato troppo da potersene ricordare ora. Il fatto era che lui voleva molto di più concentrarsi sulla relazione vera e propria, piuttosto che su questi problemi quasi inutili. In più, lui e Piper erano praticamente quasi uguali, due ragazzi che non si completavano ma che si specchiavano l'uno nell'altra. Erano più due stelle binarie: viaggiavano esattamente sulla stessa traiettoria. E forse era proprio per quello che si erano dovuti dividere. Forse erano troppo simili, troppo perfetti per poter restare insieme.

«Non starla a sentire,» esclamò Percy, facendo alzare gli occhi al cielo alla sua ragazza, «io sono bravissimo in realtà, vero, Annie?»

«Ti ho già detto-»

«Lo so, lo so» rise il ragazzo, abbracciando la sua ragazza e tenendola stretta per un po'. All'inizio, Annabeth si irrigidì tutta, forse perché non voleva mostrare il suo lato gentile alle persone che non si chiamavano Percy Jackson, ma poi si lasciò andare e sorrise al suo ragazzo, dandogli poi un tenero bacio sulla fronte.

Jason pensò che erano davvero molto carini insieme, e si chiese quale nome sarebbe andato bene per un potenziale piccolo Jackson. Si ricordò della volta in cui Percy gli aveva esplicitato che tanto, prima o poi, avrebbe voluto crearsi una famiglia propria - e avrebbe voluto farlo proprio in compagnia di Annabeth. Forse, se avessero avuto una femminuccia, sarebbe andato bene il nome Sophia, o Moana. Il ragazzo sorrise all'idea di un Percy alle prese con una bambina da accudire e da cambiare, immaginandosi la scena con tanto di cadute e un'Annabeth che alzava gli occhi al cielo sullo sfondo.

Quando il biondo tornò alla realtà, controllò di nuovo l'orologio e si rese conto che era davvero tardi.

«Cazzo,» mormorò, «il lavoro!»

Starbucks - JeynaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora