Manuale dei sogni e delle telefonate

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Il sogno di Reyna era strano. Si vedeva dall'esterno del suo corpo mentre mangiava una manciata di caramelle gommose. Era avvolta in una coperta e aveva affianco a sé Aurum e Argentum e sua sorella Hylla, che la osservava con un'espressione severa.

«Che c'è?» le domandò lei, accarezzando piano la schiena di Aurum. «Perché mi guardi così?»

«Non fidarti» sibilò lei, scrutandola negli occhi. «Non fidarti»

Reyna non capiva. «Di cosa dovrei non fidarmi, Hylla?»

«Non fidarti» continuava a dire la maggiore, dando le spalle a lei e iniziando ad andarsene. «Non fidarti»

***

Reyna si svegliò di scatto. Un ticchettio le rimbombava nella testa e il suo stomaco brontolava. La sua stanza era semibuia e una leggera brezza fresca entrava dalla finestra socchiusa. Era rimasta così per tutto quel tempo?

Cercò di alzarsi, puntellandosi con i gomiti sul materasso soffice e confortante. Sentiva la maxi maglia viola che aveva indossato sfiorarle le cosce e i capelli sciolti e probabilmente disastrosi appoggiarsi sulle spalle.

Che ore saranno state? A giudicare dalla scarsissima luce che filtrava dal corridoio (probabilmente arrivava dalla finestra del bagno) doveva già essere pomeriggio inoltrato. Aveva dormito per tutto quel tempo?

Si alzò dal letto mettendo da parte le coperte e fece il giro dell'appartamento. Nemmeno l'ombra di Jason. Trovò solo un biglietto sul tavolo da cucina, scritto con una calligrafia confusa ed impacciata. Diceva: Chiamami appena puoi, e sotto il messaggio sorgevano le cifre di un numero di telefono.

Reyna sorrise, ma decise di ignorare per un po' Jason. Chissà dove si era cacciato, poi! Afferrò il cellulare e chiamò Nico.

«Pronto?» rispose lui in italiano.

«Ehi, Nico. Ciao»

«Ciao. Quando avevi intenzione di chiamarmi, Reyna? Sono passati secoli da quando ci siamo sentiti l'ultima volta!»

«Lo so, e giuro che avrei voluto contattarti,» rispose lei con aria colpevole, «ma sono sempre più impegnata per quel saggio di cui ti avevo già parlato e...»

«Ancora con Octavian? Non è che ti stai innamorando di-?»

«Innamorando di lui?! Ma perché lo pensate tutti?! Io voglio solo prendere punti extra al college, davvero» gridò la ragazza, gesticolando con la mano che non teneva il cellulare, anche se sapeva benissimo che il suo amico non poteva vederla.

«Tutti? E chi sarebbero questi 'tutti'?» Reyna immaginò Nico alzare un sopracciglio.

Lei sospirò. «Nessuno» mentì. Non le andava di essere presa di mira anche dal suo migliore amico.

«Nessuno, eh? Eppure tu hai appena...»

Reyna decise di attaccarlo con la stessa moneta: «Come va con Will, invece? Vi state divertendo giù a Washington?»

«C-con W-will?» balbettò il ragazzo. «Niente di nuovo. Devo studiare tutti i giorni e lui anche, quindi...»

Reyna lo sapeva: i due ragazzi avevano fatto un grande sforzo per trovare un posto dove poter condividere un appartamento. Si frequentavano da quando avevano sedici anni - ciò vuol dire, da circa tre anni -, ma i loro indirizzi di studio erano così differenti (Nico aviatore e Will dottore) che solo la capitale americana poteva soddisfare tutti i loro desideri.

Era stata felice per loro, quando le era stata data la notizia, ma in quel modo poteva vedere Nico solo pochissime volte e doveva per forza contattarlo per telefono ogni volta.

«Come vanno gli studi, a proposito?» domandò ancora, questa volta con tono più serio.

«Bene, direi. Ieri ho superato un altro esame»

«Un altro? Complimenti, Nico.»

Il ragazzo esitò solo un momento prima di rispondere. «È necessario per la mia vita, non mi servono i complimenti. È come se io te li facessi per aver - che ne so - cucinato un piatto di pasta.»

Reyna restò in silenzio per qualche attimo per far capire al suo amico che no, non era affatto divertente.

«Oh, aspetta» fece il ragazzo dall'altra parte dell'apparecchio. «Credo che io debba andare. Ci sentiamo dopo?»

«Sì, certo. Ma questa volta mi chiami tu, okay?»

Nico sospirò. «Come vuole lei, maestà»

«Scemo» disse Reyna, appena in tempo prima che il suo amico riagganciasse.

Dato che aveva il telefono in mano, decise di fare uno squillo anche a Jason, che - poveretto - si doveva star preoccupando, credendola morta, ormai.

Compose il numero che lui le aveva lasciato scritto e restò ad aspettare per due o tre squilli prima di poter ascoltare la morbida voce del ragazzo.

«Jason, sono io»

«Ehi!» Il ragazzo quasi gridò. «Come stai? Sei ancora viva?»

«Visto che ti sto chiamando,» constatò lei con voce ovvia, «direi proprio di sì, uh?»

«Uhm» Reyna immaginò il biondo mordersi il labbro con la cicatrice. «Ti serve qualcosa? Tutto a posto?»

«Ho dormito finora e adesso ho un po' di fame, ma non credo di poter mangiare. Tu che ne dici?»

Jason esitò un attimo. «Mh, forse dovresti prendere qualcosa per farti star meglio. Ho queste pastiglie a casa che-»

«Stai provando ad attaccare bottone portandomi delle pastiglie, Jason? Fallimento totale, se devo essere sincera. Ritenta» rise Reyna. Prendersi gioco dei ragazzi era uno dei suoi sport preferiti.

«Io non... Ehi, non sto provando a... Voglio solo aiutarti, Reyna, ma se vuoi ti lascio in pace» La voce del ragazzo sembrava forse contenere una punta di delusione.

Lei si strinse nelle spalle e scostò una sedia dal tavolo per poi crollarci sopra. «Se proprio vuoi venire...» si sentì dire. Okay, quella cosa non era da lei. Sentì come un aghetto pungerle il cervello e poi un grosso peso gravitarle sul retro della testa. Decise di ignorare quella sensazione, che era del tutto simile a quella che si provava quando ci si era dimenticati di qualcosa.

«Arrivo fra cinque minuti, d'accordo?» fece Jason. Reyna poteva immaginarlo mentre sorrideva.

Avrebbe voluto gridargli qualcosa del tipo: «Per favore, no, non ti voglo in casa mia!», ma tutto quello che riuscì a fare fu sospirare e interrompere la chiamata. La verità era che era stanca e voleva solo mangiare qualcosa e tornare a dormire. Però, quello che poteva fare ora era solo aspettare l'arrivo di quel biondo a casa sua.

Starbucks - JeynaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora