Lontani Da Me! (Parte 2)

32 3 5
                                    

La domenica era il giorno perfetto in cui la sveglia si prendeva un giorno di vacanza. Niente snooze snervanti a ripetizione, niente corse per riuscire a prendere il treno, niente pensieri sull'università. 

Un pacifico atterraggio nel mondo reale destò delicatamente Emma. A riportarla nella realtà dal suo torpore vi era solo un intreccio di timidi raggi solari che la accarezzavano. Un sorriso si fece strada sul suo volto, fresco come una rosa. La notte era trascorsa serena, molto più serena del solito. L'ultimo pensiero rivolto al misterioso  Giacomo Varenti l'aveva fatta cadere dolcemente tra le braccia di Morfeo. Alla fine la conversazione non aveva avuto grandi sviluppi, era morta piuttosto in fretta. Emma si disse che probabilmente era meglio così. In fondo non si erano mai parlati, quindi non erano in una confidenza tale da potere chiacchierare come due amici di infanzia.

Tuttavia il pensiero di lui fu l'ultimo la sera precedente e il primo al suo  risveglio. Il fatto di avere trovato una persona simile a lei le provocava le classiche farfalle nello stomaco. Le dava una carica insolita, un energia sconosciuta che non sapeva spiegarsi.

L'idillio finì non appena la porta di camera sua venne brutalmente aperta.

«Emma, vestiti, cambiati, che si esce in paese!». Sua madre Gisella era entrata come una furia, non curandosi minimamente di bussare, o di darle il buongiorno. 

Emma aprì la bocca per protestare, ma in quell'istante Gisella si volatilizzò. 

Lei sospirò. Sua mamma le voleva un gran bene, ma aveva imparato a non scendere a patti con lei quando si trattava di fare qualcosa assieme. La maggior parte delle volte che una nuova proposta saltava fuori Emma iniziava ad addurre a scuse assurde per evitare di prendervi parte. Non è che non volesse passare del tempo con loro, per carità. Li adorava tutti quanti. Sua madre Gisella, suo padre Claudio e Amanda, la sua sorellina. Il problema era che molte volte loro coinvolgevano nelle uscite di famiglia persone che Emma non sopportava minimamente. Chissà con chi sarebbero usciti quella mattina in paese.

Un momento. Uscire quella mattina in paese? Le sinapsi del suo cervello collegarono i fatti. 

Merda. Quella mattina sarebbe stata la protagonista della tradizionale Festa d'Inverno cittadina che ormai si teneva da anni e a cui non mancava nessuno. E se non mancava nessuno non poteva non esserci quella bisbetica di Lara e la sua cricca, proprio quelli a cui la sera prima aveva annunciato che sarebbe andata in montagna.

Immediatamente Emma uscì dalla stanza e si precipitò verso la madre, che cercava di fuggire prendendo la prima rampa di scale.  

«Emma, no!». Due parole per fare fermare la ragazza in mezzo al corridoio. Una magia, come se sua mamma le avesse letto nel pensiero.

Da una parte Emma non avrebbe dovuto preoccuparsi minimamente. In fondo cosa le importava di ciò che pensava Lara? Al massimo avrebbe rotto i rapporti con lei. Eppure c'era qualcosa che la metteva a disagio in quella situazione, qualcosa che non sapeva spiegarsi.

«Mamma!».

«Cosa c'è?» chiese Gisella alzando gli occhi al cielo.

«Non mi sento bene».

«Non ci credo minimamente». 

«Devo fare i compiti».

«Sei all'università, non puoi avere compiti, solo esami».

«Ok allora... Devo fare gli esami!».

«Emma...». Gisella si portò la mano al volto.

«Devo uscire... Con il mio ragazzo!».

Gisella sollevò un sopracciglio e si mise a ridere. «E come si chiama questo ragazzo?».

Emma sparò il primo nome che le veniva in mente. «Giacomo».

Giacomo?

«Cognome?».

«Varenti».

«E come vi siete conosciuti?».

«Mamma, è un terzo grado questo? Cosa c'è, Non posso avere un ragazzo?» chiese Emma indispettita, con una convinzione che giurava su Dio, non sapeva da dove venisse fuori. 

«E dove dovreste andare tu e questo...».

«... Giacomo!».

«Giacomo, giusto!» rise Gisella. Pareva che non avesse creduto a una sola parola, ma si stava comunque divertendo da morire.

«Andiamo a...»

Pensa, Emma, pensa. Pic nic romantico? No, siamo in inverno. Cioccolata calda? Buona idea, ma non abbastanza forte, però la tengo da conto. Inverno: freddo, neve, sci? No, le piste da sci sono troppo lontane, non è realistico, e poi io non scio. Freddo, neve, ghiaccio... Pattini?

«... Pattinare sul ghiaccio» rispose, interrompendo il soliloquio interiore.

«Pattinare sul ghiaccio? Tu?». Gisella scoppiò a ridere.

Emma rimase indispettita. Va bene, non aveva mai provato a pattinare sul ghiaccio. E va bene, non era mai stata quel tipo di persona che si butta a capofitto nelle cose nuove. Tuttavia sua madre poteva darle un minimo di fiducia o di incoraggiamento.

«Sì, andiamo a pattinare sul ghiaccio!» rispose lei stizzita.

«E quando hai intenzione di andarci?».

«Tra mezz'ora, minuto più minuto meno» mentì spudoratamente Emma. Iniziarono a venirle i sudori freddi. Si stava rendendo conto solo in quel momento dell'ammontare di balle che stava sparando. Sua madre iniziava a crederci, fortunatamente. Emma si disse che non poteva mollare proprio in quell'istante, diveva andare fino in fondo, mostrandosi sicura.

«Allora, permettimi di accompagnarti. Sono proprio curiosa di conoscere questo Giacomo!».

Zac. La mazzata ferale. Il panico si scatenò nella testa di Emma. 

Merda, merda, merda. Come faccio ora? Se le dico di no si insospettirà e capirà che è tutta una farsa e poi dovrò andare alla Festa d'Inverno e incontrare Lara e il suo gruppetto. Eppure non posso continuare a mentire in questo modo. So a malapena che faccia ha Giacomo. Non è che posso contattarlo e dirgli "Hey, che ne dici di fingere di venire a pattinare con me per fare in modo che mia madre mi lasci in pace e non mi trascini in quella festa?". No, è assurdo.

«E' un'ottima idea, mamma! Ti piacerà senz'altro!».

Bingo. E' proprio divertente quando riesci a comandare la lingua come desideri. "E' un'ottima idea, mamma, ti piacerà senz'altro"?! Ma sono ubriaca? Mi sono fatta di qualcosa e non lo so?

«Benissimo, allora preparati, perché tra dieci minuti andiamo!».

«Tra dieci minuti? Non è un pochino prest...».

Sua madre le lanciò un'occhiataccia.

«Dieci minuti, Caporale! Non un minuto di più!» eclamò Emma con tono altisonante, mimando il saluto militare e trattenendo sulle sue labbra un sorriso più tirato della mozzarella filante.

Gisella scese le scale e si portò al pianterreno, lasciando la figlia da sola in mezzo al corridoio. Emma tornò nella sua stanza, chiuse la porta e si sedette sul letto con la testa tra le mani, le dita infilate nei lunghi capelli biondi e lo sguardo perso nei pensieri.

Ok, sono uffcialmente fottuta, ora...

Gettò un occhio al cellulare che teneva ancora sul comodino dalla sera prima.

No, non posso farlo, è assurdo.

La sua mente si scatenò alla ricerca di alternative, molte delle quali avrebbero contemplato il fuggire dalla finestra di camera sua. Provò a riflettere lucidamente, ma senza risultato. Il ticchettio della sua sveglia la angosciava, sentiva sempre più pressione addosso. Una parte di lei sapeva che cosa avrebbe dovuto fare. Aveva due alternative. Opzione numero uno: arrendersi in quel preciso istante e uscire alla Festa d'Inverno; opzione numero due...

Emma si disse che l'uscita della sera prima era stata l'ultima goccia. Afferrò il suo cellulare e sbloccò lo schermo, con la mano tremante.

Scelgo l'opzione numero due.

Tales by DanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora