tempo di cambiare «17»

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Avete presente com'è credere in qualcosa? Credere nel primo "ti amo", in quei "non lasciarmi andare", negli abbracci in cui lui ti stringe la notte. Credere che quelle braccia saranno le uniche. Credere che, se l'amore che provi per lui è così forte da farti andare in confusione, allora durerà per sempre.

Eppure del primo "ti amo" tante volte non si sa il significato, di braccia che ti stringeranno ce ne saranno altre, scopri che a farti andare fuori di testa erano i suoi occhi, che il per sempre non esiste e, una volta superato tutto, ti sembrerà la cosa più stupida del mondo. Una piccolezza incredibile da sorpassare. 

Era così per tante persone. Per la maggior parte di persone che uscivano da un rapporto importante venendo sbattuti qua e là fino ad avere la pelle livida. Ma non era il mio caso.  

Da quando avevo lasciato la casa di Benjamin erano passati sei mesi.
Da quel gelido 20 Gennaio, 151 giorni.
La scuola era finita, trascinandosi piano verso la maturità.
Lui non sapeva che una delle tracce del tema era "Descrivi un'emozione". Non sapeva che avevo deciso di descrivere la sensazione di sentirsi soli al mondo quando non hai accanto la persona che sa farti battere il cuore quando non vuoi che batta affatto. E non avrebbe saputo mai che, quel tema, glielo avevo dedicato.
Non era la penna ciò con cui scrivevo. Era il mio cuore.
Quello che una volta mi ero strappata dal petto per darlo a lui.
Proprio in quel momento stavo camminando per uscire una volta per tutte dal cortile della scuola. Avevo chiuso con quell'edificio, e le persone che ne facevano parte, se non poche.
Ricordai ogni singola volta in cui Ben si era fatto trovare lì davanti. E mi accorsi che mi mancava. Non che non lo sapessi. Di quello ne ero a conoscenza da mesi. Solo, certe volte in cui mi sembrava di riuscire a dimenticarlo e riuscire ad essere felice da sola, il suo ricordo bagnato di nostalgia mi colpiva alle spalle come una mazzata, facendomi sempre un po' più male.
Tante volte mi dimenticavo di tutto, e mi giravo di scatto, certa di trovarlo accanto a me. Ma non c'era mai.
Avevo sorriso ancora da quando me n'ero andata, certo. Eppure poi cominciavano a luccicarmi gli occhi, quando provavo a guardare lo stesso la realtà. Non l'avrei mai ammesso ad alta voce, ma avevo paura di non incrociarlo più. Avevo paura che lui non sarebbe stato lì a proteggermi dai miei mostri quando sarebbero tornati. E non sapevo se sarebbe tornato lui.
Tenevo stretto al petto il dizionario di latino, che mi ero dimenticata in classe il giorno della seconda prova e che avevo ripreso oggi.
Improvvisamente un sasso spuntò da non so dove ed io, maldestra come sempre, inciampai e caddi sbattendo le ginocchia a terra.
Sbuffai quando vidi le mie cose sparse per terra. Mi trovavo sul marciapiede di fronte al cancello della scuola. Raccolsi il cellulare e le cuffie e le misi in tasca, e passai poi ai fogli che mi erano usciti dai vari quaderni. Non ricordavo nemmeno che fossero così tanti.
-Serve una mano?- Chiese una voce.
-No, no.. Grazie lo stesso.- Borbottai senza  nemmeno alzare lo sguardo, cercando di sistemare gli appunti di filosofia.
Da quando non lo vedevo più, mi ero resa conto del fatto che non guardavo più le persone negli occhi, quasi avessi paura che qualcuno che non fosse lui leggesse la mia storia nei miei. Non sentii più niente per un po', per cui supposi che il ragazzo a cui apparteneva la voce se ne fosse andato. Forse non ero stata nemmeno così carina; lui mi voleva solo aiutare, ma non ci diedi troppo peso.
Ma quando vidi due mani raggruppare velocemente i miei fogli fitti di appunti, capii che non aveva intenzione di andarsene. Si rialzò poi in piedi per sistemarli meglio, ed io percorsi il suo corpo, dal basso verso l'alto.
Indossava un paio di Vans simili alle mie, dalle quali spuntavano due calze bianche e nere dell'Adidas. Indossava un paio di pantaloni al ginocchio della stessa marca e colori. Indossava una maglietta grigia e dalle mezzemaniche uscivano due braccia muscolose tatuate di nero. Mi sembrò di riconoscere dei tatuaggi anche sulle dita lunghe e sottili. Spostai poi lo sguardo sul suo viso, in contrapposizione con il sole. Era più abbronzato e con un orecchino sull'orecchio sinistro, e una bandana teneva su i capelli più lunghi e chiari.
I suoi occhi mi fecero affondare in un oceano grigioazzurro, come il mare durante un temporale.
Nei suoi occhi si vedevano le nostre anime mischiate.
Lui il mare, io la tempesta.
Vidi lentamente la sua espressione tramutarsi in stupore.
-Non ti avevo riconosciuto...- Scattò a bassa voce, come per giustificarsi.
Non riuscii a sorridere, e la sua voce mi fece venire voglia di piangere.
-Voglio dire... I... I capelli...-
-Sì, volevo cambiare. È da due mesi che sono mora, ma tornerò bionda tra poco.-
-No, cioè, stai bene, e gli occhiali...-
-Leggero astigmatismo. Nulla di grave; li tengo solo a scuola. Mi sono scordata di toglierli.-
-Ah...-
Non voleva incontrarmi.
E io?
Io non speravo forse di incontrarlo sempre, anche per caso? Quando camminavo per qualsiasi strada, non camminavo cercandolo? Quando sentivo il suo nome, non mi giravo forse come fosse stato il mio? È che io lo sentivo ancora come una parte di me. Nonostante tutto quello che ci aveva divisi.
Lui beveva ancora?
Scriveva ancora?
Ascoltava ancora le nostre canzoni?
Pensava ancora a noi?
Com'era la sua nuova chitarra?
Si erano aggiunti nuovi timbri al suo passaporto?
In quali parti del mondo era stato senza di me?
Che ne aveva fatto della mia lettera?
Aveva sofferto?
Le domande mi mangiavano viva, ma i miei mostri, quelli, chi lo sa più dove andarono a finire, con i suoi occhi davanti.

secret / benjamin mascoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora