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Mangiavo i miei soliti biscotti al cioccolato ascoltando Fino a farmi male. È sempre stata una delle mie canzoni preferite da quando Martina se ne era ossessionata e me la faceva ascoltare in continuazione.
Era già tutta la mattina che avevo un enorme sorriso stampato in faccia, tutto grazie a lui.
Quel sorriso però cominciò gradualmente ad andarsene, quando sentii... O meglio, non sentii nulla. Il campanello non suonava, e ormai io sarei già dovuta partire per la scuola da un bel pezzo.
Cominciai a preoccuparmi... Ed arrabbiarmi.
Il giorno prima gli avevo mostrato la vera me stessa, cose che sapeva solo Martina, l'unica che abbia mai voluto voglia di conoscermi fino in fondo.

Perché Benjamin aveva voluto illudermi?

Perché proprio a me, una delle tante?
La cosa che mi faceva più ridere di lui è che chiamava le sue fan dreamers. Lui per cosa mi aveva fatto sognare? Per vedere tutti i miei sogni schiantarsi a terra e finire in mille pezzi?
"Lascia perdere, lascia perdere..." sussurrai mentalmente.
Ma era già difficile lasciarlo perdere. Mi aveva dato così tanto in così poco tempo...

Con gli occhi lucidi mi alzai di scatto dalla sedia vedendo la notifica di Whatsapp del messaggio audio inviato da lui la sera prima alle due di notte. Non ci pensai due volte. La aprii.
"Ssshono fe.... Fefelice. Il mio la mia scimitarra è fellice è a casa..."
"Amico basta vodka, dai!"
"Ciao ragazzina!" Una voce femminile.
"Dae un bicchierino anc... Ancora, si vive una volta sola!"

Chiusi quell'audio spaventata.
Tutti i ricordi sfocati di quell'uomo ubriaco che rientrava a casa di notte...
Le bottiglie rotte...
Quel liquido dall'odore nauseante, troppo dolce...
Le urla...
Il rumore di qualcosa che di schianta contro il muro, un piatto forse...
La paura di mia madre si percepiva nell'aria...
Gli avevo mentito.
A Benjamin, intendo.
È vero che non c'erano state né risposte né spiegazioni, ma sapevo bene perché i miei genitori si erano separati.
Per tutte quelle notti buie e puzzolenti di alcool. Hanno allontanato i miei genitori, il cui padre non consideravo più come tale.
Quell'uomo non era mio padre.
Non mi aveva mai consolata o detto 'brava'.
Solo una fredda indifferenza, come se fossi sempre stata un peso per lui, una scocciatura.
Per questo sono cresciuta pensando sempre di essere di troppo, con la paura costante di disturbare.
Avete presente quando qualcuno vi chiede qualcosa, anche semplice, che vuole fare per te? Della serie: "Vuoi un bicchiere d'acqua?" "Vuoi che ti aiuti?"
Ecco.
Ho sempre rifiutato.
A causa di quella stupida paura di essere di troppo.
Come la crosta della pizza, come i libri che ormai non leggi più che dovresti spostare ma non ne hai voglia, come studiare in un giorno di sole, come sorridere quando hai voglia di piangere, come la pancia durante la prova costume, come quella piccola cosa che ti stravolge la giornata in peggio, come quella canzone che desideri si tolga da sola dalla playlist perché te ne sei stufato.
Un po' come i cinque minuti prima della campanella.
Quelli che non passano più.

Uscii di casa sbattendo la porta e corsi fino a scuola. Per colpa sua ero in ritardo e avevo passato anche una notte in bianco. Lui e i suoi stupidi occhi, la sua stupida chitarra.

Arrivai che avevo ancora un po' di tempo prima di entrare in classe, così andai alla macchinetta a prendere un caffè. Il sonno stava cominciando a farsi sentire. Mentre aspettavo che il bicchiere si riempisse, sentii toccarmi una spalla.
-Ah, Martina, potresti passarmi gli appunti di sto...-
Non c'era Martina quando mi girai.
Restai ferma immobile come de un mio piccolo movimento avrebbe potuto fare scattare una trappola per me mortale.
-Allora, piccolina, non abbiamo avuto ancora il tempo per parlare.- Quegli occhi neri così profondi mi facevano soggezione ogni volta, non riuscivo a ragionare lucidamente quando c'era lui che mi guardava.
Era come se un leone fosse sempre pronto per attaccarmi alle spalle.
-Lasciami in pace.-
Incrociò le braccia sul petto facendo guizzare i muscoli delle braccia.
Deglutii.
Quei muscoli avrebbero potuto farmi male, molto male, lo sapevo.
La campanella suonò improvvisamente, ed io non fui mai più felice di così. Feci per andarmene, ma lui mi strinse un polso. -Ci becchiamo fuori da scuola.- Disse a denti stretti.
Non risposi e corsi via.
Quando a ricreazione io e Martina uscimmo dalla classe, incrociammo una ragazza.
L'avevo già vista in giro per la scuola, mi pare si chiamasse Giorgia. -Questa sei tu. Lo so che sei tu.- Mi mostrò un cellulare, la cui schermata rappresentava me e Benji mano nella mano mentre ieri andavamo verso il suo posto speciale.
Come diamine era finita su Internet?
-Soph...- Sussurrò Martina spalancando gli occhi feriti. Feriti dal fatto che non glielo abbia detto.
-Ah! Scommetto che non l'hai detto nemmeno a lei e te lo sei tenuta tutta per te!-
-Non... Martina, scusami, ti prego... Non te l'ho mai detto perché...-
-La... Lasciami in pace. Vai a parlare con lui.- Disse, dura. Lei era sempre stata dolce e comprensiva ma anche decisa, non si arrabbiava quasi mai. Se ne andò per i corridoi della scuola guardando basso.
Restai lì immobile, incapace di pensare per fare qualsiasi cosa.

A pensarci bene, volevo solo andare a casa e sparire sotto le coperte, sparire nei miei sogni.

Dando una spallata a Giorgia me ne andai. Le lacrime minacciavano di scendere dai miei occhi, ma non lo avrei mai permesso. Almeno non prima di essere arrivata in camera mia, dove nessuno poteva vedermi. Ma me ne ero dimenticata: qualcuno mi stava aspettando fuori dalla scuola. E quel qualcuno era John.
-Allora piccolina.- Alzai lo sguardo verso di lui.
-Non è giornata, John. Lasciami in pace.- Cercai di andarmene, ma lui mi afferrò un braccio per bloccarmi.
-So che ti sono mancato. Si vede da come mi guardi.- Disse mordendosi un labbro.
-Chiudi quella bocca di merda, non sai che cosa stai dicendo.- Dissi, dura. Ma l'ansia e la paura nella mia voce si potevano tagliare con un coltello.
-So che questa bocca di merda la vorresti sulla tua.-
Alzò un sopracciglio.
Prima che potessi accorgermene mi aveva afferrato un avambraccio e l'aveva incollato al suo petto. Mi guardava con occhi feriti e tanto, tanto arrabbiati.
-Te li ricordi quando in seconda superiore ti limonavi quel tizio insignificante? Vediamo se ora il tuo fidanzatino proverà lo stesso che ho provato io.-
Non ho nemmeno la possibilità di capire cosa sta succedendo. Riesco a girare la testa di poco e a vedere Benjamin che viene verso di me.
E poi mi stava baciando.
John mi stava baciando.

Gli tirai due pugni sul petto. Era di ferro e non si scansò di un millimetro. Mi teneva il mento a forza, non potevo staccarmi.
Fino a che qualcosa non mi sfiorò il viso e fu lui a staccarsi da me, cadendo a terra. Mi pulii la bocca con il dorso della mano, schifata.
John era a terra con un livido che stava già prendendo forma sulla sua guancia.
Lo avevano colpito, e quando mi voltai per vedere chi era stato, forse non ne rimasi nemmeno così stupita.
C'era Benjamin, con la mano ancora stretta in un pugno e degli occhi duri che guardavano il ragazzo a terra con disprezzo.
Poi dedicò i suoi occhi a me, ed io rischiai di cadere di nuovo nella sua trappola. Quella trappola che era letale, che non mi avrebbe più lasciato andare.
-Stai bene?- Mi chiese guardandomi con occhi preoccupati .
Liberai il polso che mi stava stringendo con delicatezza.
-No, non sto bene.- Sussurrai prima di andarmene.
Pensavo che quella giornata non potesse andare peggio di così, ma mi ricredetti poco dopo quando cominciò pure a piovere (tipico) ed io non avevo l'ombrello.
E Benji continuava ad inseguirmi.
-Scusa! Lo so che sarei dovuto venire da te, ma ieri sera ho incontrato degli amici che non vedevo da molto ch Mi hanno portato in un locale. Abbiamo bevuto un po', nulla più di questo e...-
-Benjamin, non me ne può importare di meno. Ma la prossima volta non promettere qualcosa se sai che poi non la manterrai.- Dissi mentre la pioggia mi bagnava il viso.
-Non lo sapevo! Avevo intenzione di venire a prenderti davvero!-
-Sì, ma non sei venuto.- Dissi con voce flebile. A quel punto non me ne fregava niente se piangevo o no, tanto la pioggia avrebbe confuso le lacrime e le avrebbe rese inesistenti, come lo era ormai la sua promessa del giorno prima.
-Benjamin, ieri sera dopo tanto tempo ero finalmente felice. Ma preferisco non esserlo che continuare ad essere illusa da te. Per cui lasciami stare, per favore. Non so nemmeno cosa volevamo concludere insieme io e te... È stato bello per quanto breve avere a che fare con te, ma tu hai una vita che ti aspetta ovunque sia la tua chitarra, e non qui, per cui torna a concentrarti sul tuo lavoro.-
Fece un passo nella mia direzione. -Ora come ora, la mia "chitarra" è davanti a me.-
Non seppi dire niente mentre le lacrime sottili continuavano a scendere sulle mie guance, confondendosi con le gocce di pioggia.
-Scusami.- Disse avvicinandosi e posando le mani sui miei fianchi. -Ho sbagliato. Se vuoi la verità, ho pensato, appena che mi sono svegliato, che non te la fosti presa tanto, perché ormai nessuno mantiene le promesse, ma era un pensiero stupido, davvero. Ora ho capito che anche una sola carezza in meno può spezzarti.-
-Non... Ah, lasciami in pace.- Sussurrai andandomene.
Non sapevo e non sentivo se mi stava seguendo, e non sapevo se volevo che lo facesse.







secret / benjamin mascoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora