#36

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Cammino velocemente mentre lo zaino mi scivola giù dalla spalla. Per poco non m'inciampo in una crepa del terreno, ma per fortuna con un po' di doti da equilibrista riesco a rimanere in piedi.
Cammino veloce perché oggi non c'è mamma a casa.
C'è papà.
E lui odia i ritardi.
Faccio saltare fuori la chiave dalla tasca, la infilo nella toppa, giro e salgo le scale al volo. Faccio scivolare i piedi fuori dalle scarpe prima di entrare dalla porta, e quando faccio il mio ingresso vedo l'imponente figura di mio padre seduto al tavolo già apparecchiato da mia madre stamattina.
-Comincia a cucinare. Devo fare delle cose, intanto.-
Insomma si alza e mi lascia da sola.
-Ciao, papà...- Sussurro una volta scomparso dietro alla porta del suo ufficio.
Mamma mi ha spiegato bene come fare la pasta al pesto che piace a papà, per evitare brutte cose. Se tutto non è fatto come piace a lui, si arrabbia molto.
L'ho sempre sentito urlare con la mamma quando si arrabbiava, e tutte le volte lei mandava in camera me e mio fratello.
Una volta cotta la pasta, la mescolo con il sugo e poi la verso in due piatti sforzandomi perché il piatto non si sporchi di verde.
Chiamo papà.
-Si, si, non c'è bisogno di urlare, diamine, vengo, vengo.-
Noto subito che ha gli occhi più grandi di prima, venati di rosso.
Deglutisco e mi siedo a tavola di fronte a lui.
E se si mettesse ad urlare anche con me?
Mi sforzo di cancellare questo brutto pensiero ed inizio a mangiare guardandolo di sottecchi.
Alla prima forchettata di pasta, prende il piatto e lo schianta contro il muro che si sporca di verde.
-Sciocca bambina! È troppo cruda, è immangiabile!-
Al primo schiaffo sulla guancia, non riesco per un attimo a respirare.
Al secondo schiaffo, mi gira la testa.
Al terzo giuro che potrei anche svenire.
Cerco di proteggermi alzando le mie gracili braccia, ma le sue mani sono così grandi rispetto alle mie che sembra potrebbero spezzare le mie ossa con il minimo sforzo.
-Basta ti prego!- Trovo il coraggio anche solo di sussurrare.
-Basta COSA?-
Dalla sua voce strascicata, capisco.
Capisco che è ubriaco e che mi picchierà ancora.

A pensarci mi viene ancora male al viso, come se il dolore dovuto a tutti gli schiaffi che mi diede quel giorno e poi le decine di volte in seguito non fosse mai passato.
Avevo cominciato a soffrire di attacchi di panico non perché quasi ogni giorno mi picchiava fino a farmi sanguinare, ma perché una volta era apparso a sorpresa per aggredirmi.
Da allora avevo paura che potesse apparire a sorpresa.
Avevo paura a camminare da sola e a stare in casa senza mia madre, dato che mio fratello era partito per l'America da pochissimo, e non parliamo del fatto che quando ero sola con lui mi chiudevo in camera e non ne uscivo fino a quando non arrivava.
Mia madre era stata l'unico spiraglio di luce in mezzo a tutto il buio.
Mi portava con lei quando poteva, aveva fatto sparire la copia della chiave di camera mia per evitare che mio padre entrasse quando io mi ci chiedevo dentro, mi reggeva il gioco quando mi fingevo malata, la sera, per non mangiar con loro, e quando lui andava a dormire lei mi passava la cena.
Eppure a volte lui riusciva lo stesso a sfogare la sua... Non so nemmeno cosa fosse. Era un fallito, e voleva sfogare la sua rabbia per questo sulle cose più facili da trovare: l'alcool e me.
Ecco inoltre perché odiavo andare alle feste.
Tutti bevevano, e mi bastava sentire un filo di quell'odore dolciastro di alcool e canne messi insieme che impazzivo.
La ricordavo, quello schifo di puzza che mi alitava addosso quel mostro.
La voce strascicata degli ubriachi la sera e la notte era un incubo, per me, e se all'uscita della discoteca nella quale, per una volta, avevo acconsentito a venire, qualcuno che aveva bevuto troppo mi si avvicinava un attacco di panico mi saltava addosso.
E tutte le volte le corse in ospedale, le sirene dell'ambulanza e gli schifo di sedativi che mi iniettavano anche per riuscire a dormire.
È anche in quei giorni che cominciai a truccarmi.
Fondotinta per coprire le botte.
Mascara per coprire i segni dell'insonnia.
E felpe e maglie con le maniche lunghe per coprire i graffi e gli ematomi sulle braccia e sul corpo.
Agli esami di terza media ci andai con una felpa addosso.
Tutto questo durò fino a quando mia madre chiese il divorzio. A causa di questo. Di me.
Stavo malissimo e non avevo rimedi.
Non dicevo a nessuno quello che mi stava succedendo.
Lo sapevamo solo io, il mio aggressore
Non poteva aspettarsi che lo perdonassi.
Non poteva davvero.
Realizzai che non potevo mostrarmi debole con lui dopo tutti questi anni.
Presi dallo zaino che mi ero portata nel ristorante il mascara che Martina dimenticava sempre nel mio astuccio. Dopo essermi tolta dalla faccia tutto il trucco colato con un fazzoletto bagnato ed essermi rinfrescata il viso, mi ripassai il mascara sulle ciglia.
Repressi un'ultima volta le lacrime ed uscii.
Non ero rimasta via per molto, ma i piatti erano già arrivati.
Mi risedetti al mio posto e spinsi il mio piatto fuori di vista. Anche solo l'idea di mangiare mi inorridiva.
Guardando negli occhi scuri e grigi di mio padre risentivo il suono delle bottiglie mezze vuote di birra schiantarsi contro il muro a poca distanza da me.
I pezzi di vetro ricadermi addosso.
I piccoli taglietti sulla pelle.
Deglutii e sbattei forte le ciglia per bloccare nuove lacrime.
-Mi dispiace.- Esordì mio padre d'improvviso.
-Mi dispiace un po' per tutto, anche per quello che ho appena detto. Non è che non ne valete la pena, ma... Ti ho vista, un po' di tempo fa.-
-Co... Cosa?- Dissi alzando la guardia.
-Sì, ti ho vista. Eri in un parco con una tua amica. Eri felice, tanto felice che non so che cosa mi sia scattato dentro. Mi sono accorto che non ti avevo mai vista sorridere, né felice. Ero tanto contenta che urlavi e saltavi di gioia insieme a lei, e mi sono davvero reso conto di che cosa mi sono perso in questi anni. Non sono mai stato un buon padre, e l'unica cosa che so fare bene sono gli errori. Non posso sperare in un tuo perdono perché ciò che ho fatto è difficile da digerire, se non di più. Sbaglio sempre: ho sbagliato anche quando ho chiesto il tuo affido, perché ormai è troppo tardi per essere tuo padre. Vorrei provare però a riempire un po' il vuoto che ti ho causato, darti quello che meriti.-
Fremevo di rabbia. -Oh, a quanto pare qualcosa ho preso da te. Anche io sbaglio sempre, sai? Distruggo sempre tutto quello che ho intorno perché ho paura per le mille cose che ho dovuto affrontare in passato con una sola piccola luce vicino.
Ed è tanto difficile e stancante ritrovarsi un ostacolo che ti sembra solo di non poter superare davanti ogni volta che ne hai appena oltrepassato uno. Non l'hai oltrepassato facilmente, però. Sei caduto a terra facendoti male.
E dopo tutti gli ostacoli che ho superato senza di te non puoi sperare di ritornare di punto in bianco nella mia vita e 'riempire il vuoto che hai creato' portandomi a pranzo in ristoranti lussuosi con macchine altrettanto lussuose.-
-Lo so.-
La sua semplice risposta mi spiazzò.
-Ti ripeto che non mi sto disintossicando solo per la mia nuova famiglia, ma anche per voi. Vorrei tornare per chiedervi scusa e riparare a tutto quello che ho fatto. Non tutto d'un colpo, ma a poco a poco.
Ti porgo ancora le mie più profonde scuse, anche se so che non le vorrai accettare ora, spero che lo farai in futuro.-
-Non si può riparare a tutto.- Dissi freddamente.
Il suono della sua forchetta che sbatteva contro il piatto fu l'unico rumore nei minuti successivi.
Quando finì il suo pranzo, pagò ed uscimmo.
Salomon sulla sua macchina, ma lui non si decideva a partire. Stava come rimuginando su qualcosa.
-Permettimi di mostrarti come sto cercando di migliorare.- Disse.
Deglutii.
Sapevo che tutti meritavano una seconda possibilità.
-Non lo so io...-
-Non pretendo di rientrare nella tua vita ed essere tuo padre. Ma forse... Un amico con il triplo dei tuoi anni.-
Sorrisi.
Era il primo sorriso che facevo in sua presenza.
Presi una decisione non totalmente in modo cosciente. Volevo vederlo cambiato.
Magari avrei avuto meno paura ed i miei mostri si sarebbero calmati.
-Va bene. Ma se fai qualcosa di sbagliato, mi riporti a casa e non se ne riparla più.-
-Affare fatto. Solo... Hai intenzione di dirlo alla mamma?-
Mi morsi un labbro. Mi odiavo. -Non penso.-
Dopo la mia risposta, mise in moto e arrivammo all'angolo prima di casa mia dopo il silenzio più totale da parte di entrambi.
-Ti vengo a prendere a scuola come oggi tra... Una settimana?-
Annuii e basta, tranquillizzata dal fatto che non volesse correre troppo.
-Sophia.- Mi richiamò prima che chiudessi la portiera.
-Ti voglio bene.
E non ti farò più del male.-
Ma non dissi niente, non potevo.
Chiusi la portiera e corsi via, senza riuscire a credere a tutto ciò che era appena successo.

secret / benjamin mascoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora