Capitolo 1 - Dottoressa

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Angy

Ho ventisei anni (quasi ventisette a dire la verità), mi chiamo Angelica, ma tutti mi chiamano Angy, e finalmente mi sono laureata. Fuori corso ovviamente.

Dopo anni di studi posso finalmente usare l'agognatissimo titolo di dottoressa prima del mio cognome: dottoressa Ferrari.

Ho appena finito di discutere la mia tesi, davanti ad una commissione impellicciata e regale, all'Università di Como. L'atteso evento si è tenuto alla presenza dei miei genitori e di mio fratello Giorgio.

Ho discusso dell'assai stimolante argomento de "L'esercizio del potere comunale in materia edilizia", un argomento che - a giudicare dall'espressione dei membri della commissione - non doveva essere un granché interessante neppure per gli addetti ai lavori. Ciononostante la tesi in diritto amministrativo sembra avermi assicurato una laurea a pieni voti. D'altronde, come mi ha ripetuto mio padre fino allo sfinimento: o ti laurei in termini o ti laurei a pieni voti, altrimenti per il mondo del lavoro non sei nessuno.

Così, dato che ormai ero ben lungi dal potermi laureare in termini (data la mia veneranda età), non mi è restato che buttarmi sulla seconda opzione.

Sto ancora gioendo dell'epilogo dei miei numerosi anni di studio, quando la voce di mia madre mi riporta alla cruda realtà.

<<Bene, Angy, ora che finalmente sei diventata dottoressa, cosa pensi di fare da grande?>> dice mia mamma con tono volutamente provocatorio.

Mia madre: una donna arcigna e severa (per la quale probabilmente non sarò mai una vera adulta) che reputa la mia scelta di laurearmi una scelta inutile, poiché prima o poi finirò per sfornare bimbetti e spadellare per mio marito, tra una camicia da stirare e un cesso da pulire.

Ad ogni modo la domanda di mia madre riesce a far venir meno la mia voglia di festeggiare il mio traguardo, perché la cruda verità è che sono dottoressa, ma non ho la più pallida idea di come usare questo titolo e il foglio di carta arrotolato che stringo tra le mani.

Non mi sono laureata in medicina o in ingegneria. In quel caso cosa avrei fatto "da grande" sarebbe stato chiarissimo fin dall'inizio. No, mi sono laureata in giurisprudenza, dopo aver preso il diploma di maturità classica. Quando mi sono diplomata i miei pochi compagni che erano già sicuri della strada da intraprendere, hanno scelto facoltà come medicina, ingegneria o architettura. Quei pochi avevano già deciso cosa avrebbero fatto "da grandi". Io, come altri dodici compagni su una classe di venti, ho scelto quello che definirei il rifugium peccatorum dei diplomati al classico: legge.

Di quei dodici, forse due o tre aspirano concretamente alla professione di avvocato, alla magistratura o al notariato. Gli altri, come me, non hanno (o per lo meno non avevano quando si sono iscritti all'università) la minima idea di cosa fare in futuro.

In effetti io ho scelto di laurearmi solo per contraddire mia madre e le sue teorie da donna di altri tempi. Mia madre non è più tanto giovane, ha già superato i sessantacinque anni. Ha avuto me piuttosto tardi, per lo meno per l'epoca in cui mi ha concepito. Tra me e mio fratello Giorgio passano circa tredici anni. Nonostante mamma abbia vissuto il Sessantotto, la sua mentalità è quella di una donna degli anni cinquanta.

Ad ogni modo non ho la più pallida idea di quello che voglio fare dopo la laurea. A dirla tutta mi sono concentrata sul fatto che finalmente stavo raggiungendo un agognato traguardo, ma non mi sono mai fermata a pensare che in realtà quel traguardo altro non è che l'inizio di qualcosa, pur se neppure io sappia di cosa.

<<Dai Maria, non tormentare Angy. Oggi è il suo giorno. A cosa fare da grande penserà tra qualche settimana. Bravissima la mia bimba!>>. Per fortuna mio padre mi ha tolto dall'impiccio di rispondere alla provocazione di mia madre.

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