Capitolo 11 - Una carezza inattesa

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Angy

Sono in pauroso ritardo al lavoro, diluvia e per di più questa mattina ho udienza a Milano con l'avvocato Adamante. Pensavo di raggiungere il Tribunale in auto, ma la mia auto non è voluta partire.

Sono quindi scappata alla stazione. Ho corso sotto la pioggia per più di un quarto d'ora, riuscendo a prendere il primo treno per Milano (o forse dovrei dire il primo carro bestiame, perché le condizioni di questo treno sono al limite del disumano: fa caldo e c'è un'umidità terribile, il cattivo odore invade le narici, non c'è nemmeno un posto a sedere e la gente è accalcata nei corridoi).

Mi sono appostata nell'ingresso di una carrozza per evitare la calca dei corridoi, ma non ho avuto soltanto io questa brillante idea e perciò mi ritrovo in mezzo ad un assembramento di persone.

Dovrei essere in Tribunale alle nove e trenta, ma sono già le nove e venti e sono ancora lontana da Milano. Non riuscirò mai ad arrivare in tempo per l'udienza.

Cerco il mio cellulare nella borsa per chiamare l'avvocato e avvisarlo del mio imprevisto. So già che non la prenderà bene, anche perché ho io i documenti da depositare in udienza. Sono tremendamente in ansia, mi tremano le mani e ho i crampi allo stomaco.

Ma proprio oggi doveva abbandonarmi la mia auto?

Mentre dalla mia borsa afferro lo smartphone, a fatica a causa dell'angusto spazio in cui mi trovo, il signore dalla stazza importante che si trova dietro di me perde l'equilibrio, a causa di una brusca frenata del macchinista, e mi viene addosso con violenza. Perdo quindi anche io l'equilibrio, ma riesco a rimanere in piedi poggiandomi ad una parete. Il cellulare però mi sfugge dalle mani, rimbalza a terra, per poi cadere rovinosamente con lo schermo rivolto verso il pavimento. Sto per riprenderlo, pregando mentalmente che non si sia rotto, quando un passeggero che non si è accorto di nulla, gli dà un calcio, scaraventandolo di qualche passo lontano da me e facendolo rimbalzare più volte sui gradini di una delle uscite del vagone.

Cerco di farmi strada tra le persone per cercare di recuperare il mio smartphone, ricevendo qualche spallata infastidita dai passeggeri accalcati, e quando sto per prenderlo le porte del treno si aprono ad una fermata e le persone che scendono fanno cadere sulla banchina il mio cellulare, che rimbalza più volte fino a finire in mezzo ad una pozzanghera.

Impreco a bassa voce, mentre con uno scatto degno di un ninja, salto giù dal treno, scanso due ragazzine che stanno salendo sul treno ridacchiando delle sventure del mio cellulare, infilo le mani nella melma della pozzanghera e recupero il telefono, risalendo sul treno prima che riparta.

Fa che funzioni ancora, ripeto più volte fra me e me, mentre cerco di dare una ripulita all'attrezzo elettronico dal quale ormai dipendo da anni.

Ma purtroppo mi rendo subito conto che il mio inseparabile compagno ha lo schermo in frantumi. Continuo però a sperare che almeno mi conceda di fare una telefonata. Esamino meglio i danni e mi appoggio sconsolata alla parete del vagone quando mi accorgo che sono sicuramente ingenti.

Il cellulare è spento e non c'è modo di accenderlo. Tolgo la batteria e noto che negli ingranaggi è entrata dell'acqua.

<<Merda!>> dico a voce un po' troppo alta, suscitando gli sguardi di disappunto di alcuni signori in giacca e cravatta.

E ora che faccio? Potrei provare a chiedere ad uno dei passeggeri se ha il buon cuore di prestarmi il telefono per fare una chiamata, ma mi rendo conto subito che sarebbe inutile perché non saprei come chiamare l'avvocato Adamante: non ricordo a memoria il numero di telefono, avendo sempre fatto affidamento sulla memoria del mio cellulare.

L'ansia monta sempre di più ed entro nel panico più totale. Ho le mani gelate, mi tremano le gambe e lo stomaco si contorce in spasmi che mi fanno rimpiangere di non avere a portata di mano un antispastico.

Se confessi, ti sposo!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora