Capitolo 9 - Disillusione

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Leonardo

<<Cosa ha detto dei fiori?>> chiedo curioso al mio amico Alex.

Alex ed io siamo a tavola a casa mia davanti a due piatti pieni di sushi e Angelica ha appena chiamato. Ho sentito la conversazione e ho capito che Angelica ha chiamato Alex per ringraziarlo dell'appartamento. Ho anche sentito che ha riferito al mio amico dei fiori di benvenuto che le ho mandato. Non so neppure io la ragione, ma mi ritrovo ad essere imbarazzato come un adolescente, mentre attendo di sapere dal mio amico cosa gli ha detto la dottoressa Ferrari.

<<Leo, temo proprio ci sia stato un malinteso. La tua praticante mi ha ringraziato per un mazzo di fiori di benvenuto che ha ricevuto oggi. Ma io non le ho mandato proprio nulla. Deduco però dalla tua domanda che tu c'entri qualcosa>> mi chiarisce Alex. Capisco subito che Angelica deve aver pensato che il mazzo di fiori provenisse dal mio collega.

<<Sì, le ho mandato dei fiori e un biglietto per augurarle il benvenuto nella sua nuova sistemazione. Le ho anche attrezzato la cucina>> spiego al mio amico brevemente.

<<Ma hai firmato il biglietto?>> chiede Alex, per poi proseguire senza darmi il tempo di rispondere. <<Non avrai firmato con il mio nome?>>.

<<No! Ovviamente no! Non avrei mai fatto una cosa del genere senza neppure consultarti. Ho siglato il biglietto con le mie iniziali>> rispondo un po' scocciato ad Alex. Come può pensare che usi il suo nome a sua insaputa?

<<Con le tue iniziali>> ripete Alex in maniera retorica, per poi concludere: <<che corrispondono alle mie. Ecco spiegato il malinteso. Mi spiace Leo, non sono riuscito a chiarire con Angelica perché è caduta la linea. Ora provo a richiamarla per spiegarle l'accaduto>>.

Alex prende in mano il cellulare per chiamare la mia praticante, ma io lo fermo subito.

<<Alex, aspetta!>> dico con voce dalla quale trapela fin troppo la mia agitazione. La verità è che ho mandato quel mazzo di fiori d'impulso, senza ragionare troppo. Ma mi sono già pentito. Cosa accadrebbe se la mia praticante pensasse che ho un debole per lei? In fondo non è così che stanno le cose. Il mio interessamento per lei è puramente professionale. I fiori erano un modo per scusarmi con Angelica per come la tratto sul lavoro, anche se non ritengo sia opportuno manifestarlo apertamente.

<<Lascia che Angelica pensi che sia stato tu a farle dei regali. Forse è meglio così. Sono il suo capo e non vorrei complicare le cose con inutili fraintendimenti>> dico al mio amico sorridendo, anche se mi sento inspiegabilmente deluso.

<<Se proprio ci tieni, Leo, per me va bene. Ma se la pensi così, perché hai mandato dei fiori a quella ragazza?>>. La domanda di Alex è più che legittima. Ma la verità è che non so cosa rispondere. Perciò replico con onestà: <<In tutta sincerità, Alex, non lo so nemmeno io>>.

Il mio amico mi sorride e annuisce senza aggiungere altro. Apprezzo la discrezione di Alex. È sempre stato un amico sincero e non invadente. Forse anche per questa ragione siamo amici da così tanti anni.

Io non ho un carattere facile. Non amo le persone invadenti né quelle ipocrite che sorridono in tua presenza, ma appena possono parlano male di te con gli altri. La finzione e l'ipocrisia, nel bene o nel male, sono elementi imprescindibili nel lavoro che svolgo e per questo tento di non rimanerne sopraffatto almeno nella vita privata.

La professione di avvocato in fondo è anche questo. Come dare torto all'immaginario collettivo? A quei clienti che senza troppa delicatezza mi hanno in più occasioni fatto notare, in anni di professione, che sono un avvocato e che quindi "mento per professione e sono falso per esperienza". D'altronde se esistono barzellette o proverbi di altri tempi dove l'avvocato è paragonato ad un animale tutt'altro che elegante o elevato (e dove non ne esce mai nobilitato), una ragione probabilmente dovrà pur esserci. Anche per questa ragione sono sempre severo con Angelica.

Lei è una ragazza troppo sincera e onesta per poter affrontare questa professione senza uscirne devastata dalle circostanze. Se potessi tornare indietro, io forse non sceglierei più questa attività.

Un tempo ero come Angelica: sincero, sempre attento a non ferire i sentimenti degli altri e di parola. Nello scontro apparivo remissivo. Preferivo desistere dal rappresentare le mie ragioni, piuttosto che scontrarmi apertamente. Non perché fossi debole, ma soltanto perché ritenevo sciocco e inutile litigare per questioni per lo più futili.

Poi gli anni di professione mi hanno costretto a cambiare. Non ho avuto molte alternative per la verità: o mi adattavo all'ambiente ambiguo o soccombevo. O diventavo aggressivo per difendere le ragioni di qualcun altro o perdevo le cause. Non è stato facile adattarsi. Ha implicato convivere con ansie e sensi di colpa perenni, oltre che fare violenza sulla mia natura in origine tutt'altro che aggressiva.

E mi ritrovo sul lavoro a fingere di essere qualcuno che non sono. Ma ormai ci ho fatto l'abitudine, talmente tanto che quando mi guardo allo specchio non so più nemmeno chi sono veramente.

Nonostante appaia a tutti un cinico, scontroso e senza cuore, la triste verità è che l'ingenuità che avevo all'inizio della professione alberga ancora in me nascosta tra i meandri della disillusione e della sfiducia verso il prossimo, e quell'ingenuità mi costringe ad una frustrazione cronica nella speranza vana che prima o poi nel mondo sarà fatta giustizia e la gente smetterà di essere aggressiva senza ragione.

Quell'innato senso di giustizia che mi ha portato a svolgere la professione di avvocato non vuole saperne di abbandonarmi. Questa è la mia vera condanna, perché continuo ad incamerare una delusione dopo l'altra, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, nell'eterna attesa che forse in un'altra epoca (e in chissà quale realtà parallela) le cose cambieranno.

Tutto questo vorrei risparmiare ad Angelica: l'eterno conflitto tra ciò che è e ciò che dovrà essere, tra ciò che è giusto e ciò che invece è solo secondo diritto, tra l'essere vera e il dover apparire.

Perché voglia risparmiarle tutto questo, ancora non mi è chiaro. Ma da quando l'ho vista il giorno del colloquio di lavoro, così tesa e trasparente, dentro di me è scattato il desiderio di evitarle le delusioni cui andrà sicuramente incontro esercitando questa professione.

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