Capitolo 31 - Un'attesa interminabile

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Leonardo

Sono nella sala d'attesa del pronto soccorso dell'ospedale dove è stata portata Angelica d'urgenza.

Sto aspettando da almeno quattro ore e non ho ancora avuto la benché minima notizia.

Quando l'ambulanza è giunta in ospedale a sirene spiegate, Angelica è stata immediatamente portata in reparto, mentre a me non è stato consentito oltrepassare le maledette porte a vetri che sto fissando da quando sono entrato nel policlinico.

Per fortuna accanto a me c'è Chiara, che mi ha raggiunto dopo aver chiuso l'ufficio.

Non appena sono giunto in ospedale, ho chiamato Giorgio per avvisarlo di quello che è accaduto. A dire la verità ho sperato ardentemente che lui fosse di turno, sia perché non me la sentivo di contattare i genitori di Angelica, sia perché mi confortava l'idea che lei finisse in mani più che fidate. Fortunatamente Giorgio era già qui e all'arrivo dell'ambulanza è subito accorso in aiuto della sorella. Il fratello di Angelica mi ha fatto promettere di non chiamare i genitori per non allarmarli. Come dargli torto? Sono un genitore anch'io e immagino perfettamente come possano reagire la madre e il padre di Angelica alla notizia della figlia ricoverata in ospedale in stato incosciente.

Tuttavia non so se tacere sia la cosa giusta. Se succedesse qualcosa a Marco, vorrei saperlo immediatamente. Ma chi sono io per poter decidere su questioni che riguardano la mia praticante?

Ho già avuto la presunzione di decidere come fosse più opportuno muoversi in relazione alle molestie di Julius nei confronti di Veronica, e alla luce degli ultimi eventi mi pare evidente che le mie scelte siano state pessime.

Continuo a osservare le porte a vetri maledettamente immobili. I minuti sono interminabili e sembrano ore. Continuo a guardare l'orologio e a vagare avanti e indietro tra le poltroncine della sala d'aspetto come un leone rinchiuso in una gabbia troppo angusta per ospitare la sua irrequietezza.

Questa maledetta sensazione di impotenza mi sta logorando: i pensieri mi si formano in maniera caotica nella mente e le immagini del viso di Angelica priva di sensi si sovrappongono a quelle del personale sanitario che la soccorrono.

E intanto non posso fare a meno di continuare a maledirmi per non essere stato in grado di evitare una disgrazia che avrei dovuto prevedere. Se dovesse succedere qualcosa ad Angelica non potrei mai perdonarmelo.

Non voglio pensare al peggio, non voglio neppure minimamente ipotizzarlo, eppure la mia testa continua a immaginare che dietro a quelle porte a vetri, ormai fin troppo familiari, stia succedendo o sia già successo qualcosa di terribile.

Mi siedo su una delle sedie della sala d'attesa, appoggio i gomiti sulle ginocchia e mi afferro la testa tra le mani.

Un attimo dopo sento la mano della mia fedele segretaria poggiarsi sulla mia schiena in segno di comprensione. <<Sono sicura che andrà tutto bene, avvocato. Deve andare tutto bene>> afferma Chiara con voce decisa, che stona completamente con l'espressione tutt'altro che convinta che ha dipinta sul volto.

<<La smetta di tormentarsi. Non è colpa sua. Nessuno poteva prevedere che quel matto sarebbe arrivato a tanto>> prosegue la mia segretaria, che ormai mi conosce fin troppo bene per non essersi resa conto che i sensi di colpa non mi danno tregua.

Il tempo continua a trascorrere inesorabilmente lento, mentre nessuno ci fornisce notizie di Angelica. All'ansia e all'angoscia si è ora aggiunta l'insofferenza dovuta alla carenza di informazioni, brutte o belle che siano. Ho già gridato contro il malcapitato infermiere di passaggio che probabilmente non c'entra nulla e, se non fosse per Chiara che mi sollecita a mantenere la calma, avrei già varcato le porte a vetri, fregandomene delle regole dell'ospedale e del divieto di accesso affisso su di esse.

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