Capitolo 6

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"Dobbiamo parlare...".


Lentamente faccio qualche passo verso le parallele avvicinandomi a lei... e schiarendomi la voce cerco di spiegare il mio intento.

"Beh, sì... credo che sia arrivato il momento di quella conversazione che ho tanto rimandato...".

Il suo sorriso si allarga e il mio nervoso si attenua definitamente.

"Sono tutta orecchi!", esclama facendomi l'occhiolino.

Ok Clarke, ricordati una cosa: devi camminare e guardare dove metti i piedi... non puoi fissarti su di lei, se no sarà la tua fine e non riuscirai più a spiccicare parola.

"Clarke, solo una cosa poi ti lascio parlare... oggi prova ad appoggiarti ad una sola sbarra mentre cammini...".

"A quale delle due?".

"Quella di cui ti senti più sicura, anche se sarebbe meglio la sinistra quella opposta al ginocchio dolente", mi suggerisce.

Annuisco e provo a fare quello che dice, ovviamente i primi passi sono terribilmente dolorosi, ma poi prendo il ritmo.

"Allora, ti ascolto...", afferma dopo un po'.

Cavolo... mi sono concentrata talmente tanto a camminare e a fare i passi come si deve, che il mio discorso è passato completamente in secondo piano. Però Clarke, sei proprio una schiappa!

"Ah, sì, giusto... la cosa di cui ti vorrei parlare per me è molto difficile da dire, non so nemmeno se riuscirò a finire il discorso senza piombare nell'angoscia, ma comunque voglio provarci...".

Butto l'occhio velocemente su Lexa, ho decisamente attirato la sua attenzione. Mi fa un cenno con la testa e mentre mi sforzo di camminare, apro la bocca e le dò fiato.

"Avevi ragione... quando mi hai detto che avevi capito. Mi manca pattinare, mi manca gareggiare, ma soprattutto mi manca il ghiaccio, il suo profumo e le sensazioni che provo quando la lama dei miei pattini lo taglia. Quello che mi fa più male però... è quel senso di colpa latente che non vuole andarsene. Abbiamo lavorato duramente per quattro anni ed io sono caduta a 20 secondi dalla fine... non riesco ancora a perdonarmelo. Così, dopo l'incidente, mi sono chiusa in me stessa. Ho allontanato tutti quelli che mi volevano bene, mi sembrava la punizione giusta: dolore e solitudine. Solo che la cosa mi è sfuggita di mano. Sono diventata arrogante e scontrosa e, ogni volta che aprivo bocca, ferivo le persone...", le parole mi escono come un fiume in piena.

"Dopo l'intervento, sono durata circa due settimane a fare terapia... in quel momento ho dato la colpa all'eccessivo dolore, e che tanto non sarebbe servito a nulla... ma stavo mentendo a me stessa. La verità è che avevo paura... e ce l'ho ancora... ho paura di guarire e di cosa questo potrebbe comportare. Così, ho scelto la via più semplice, quella di non riprendermi, come se la mia condizione fosse la giusta pena da scontare per la mia colpa. Mi sono resa conto solo poco tempo fa, di quanto fosse assurdo tutto questo, proprio quando Raven e Octavia mi hanno trascinato da Anya. Loro due non si sono mai arrese con me, non mi hanno mai abbandonato, sono rimaste al mio fianco beccandosi le mie giornatacce e i miei insulti, senza mai lamentarsi. Mi hanno messo davanti ad un bivio ed io mi sono rimessa in gioco. Lexa... ho ancora una paura fottuta, a volte mi spaventa l'idea di non farcela e sopraggiunge lo sconforto...", sospiro l'ultima frase e i miei occhi si inumidiscono.

"Ma c'è una cosa che mi spaventa più di tutte...", il groppo in gola si fa sempre più pressante.

"Che cosa Clarke?", mi chiede con estrema dolcezza.

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