Capitolo 5

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Dopo aver disquisito con la mia vocina interiore (ditemi voi se sono normale?!), mi sono attenuta scupolosamente ai suoi suggerimenti. Quindi per tutto il tragitto in macchina non ho fiatato, rifugiandomi con lo sguardo verso il finestrino. Le immagini del panorama mi passano davanti come in un film, ma io non ci bado più di tanto. Infatti, non mi accorgo neanche che dopo mezz'ora, Lexa si ferma davanti a casa mia.

"Ehm... siamo arrivate...", la sua voce incerta mi scuote.

"Ah, già. Grazie per il passaggio...", replico cercando di darmi un po' di tono.

Faccio per scendere quando la sua voce mi blocca.

"Clarke... scusami per prima, non avrei dovuto essere così invadente. Se ho esagerato, ti chiedo scusa... non volevo insinuare niente... io non ti conosco... e non volevo di certo giudicarti è solo che...", lascia la frase in sospeso come se, per qualche strano motivo, non trovasse le parole con cui proseguire.

"Che cosa?", la invito a continuare incuriosita.

"Solo che... io in questo calvario ci sono già passata e so benissimo come ci si sente... è vero che per ognuno può essere diverso, ma comunque il dolore e la paura che si provano sono molto simili. Mi rendo conto di averla presa un pochino alla larga, ma, in poche parole, quello che voglio dirti è questo: se mai avessi bisogno di parlare con qualcuno io sono qui, pronta ad ascoltarti!", sussurra l'ultima frase inchiodando i suoi occhi nei miei.

La sua intensità mi spaventa, non so veramente cosa pensare.

"Gr.. grazie", balbetto.

L'imbarazzo è troppo grande, così decido di darmi alla fuga, come una codarda. Devo ammettere che nonostante il ginocchio e le stampelle, credo di aver stabilito un record a rientrare.

Per tutto il tempo, fino a che non mi sono richiusa la porta alla spalle, ho sentito il suo sguardo bruciarmi addosso e, come se non bastasse, una strana sensazione di disagio mi stava contorcendo lo stomaco. Non ho la più pallida idea di cosa mi stia succedendo, e questo mi spaventa.

Saluto i miei genitori e, senza cenare, mi rifugio nella mia camera.

Clarke devi darti una calmata! Finirai per impazzire se continui così... Secondo me sono già impazzita... ma questi sono solo dettagli.

Nella mia mente ripenso alla parole di Lexa. Lei ci è già passata... ma si riferiva alla riabilitazione o al tornare in pista? Magari tutte e due. Mi piacerebbe parlare di tutto questo con lei, ma ho paura... paura di espormi troppo, paura di essere giudicata, paura di non essere capita.

Cazzo bionda, ma lo sai che sei veramente complicata? Non sarei io se no. Oddio, sono proprio messa male se continuo a rispondere alla mia coscienza.

Affondo la testa nel cuscino e comincio ad urlare come una pazza. Dopo pochi minuti, esaurisco quelle poche energie che mi sono rimaste e mi addormento rinviando tutti i dubbi al giorno dopo.

///

Quei dubbi sono ancora dentro la mia testa, e lì sembrano volerci restare. Da quel discorso fatto in macchina, davanti a casa mia, sono passati ben due mesi. Ovviamente ogni singolo giorno sono andata a fare terapia, facendo finta di niente, non sollevando minimamente l'argomento in questione e concentrandomi solo ed esclusivamente sul ginocchio.

Da quello che dice Lexa sto facendo progressi. Anche Anya è d'accordo, la visita con lei è andata molto meglio dell'ultima volta... sì, non ho urlato!

Ciononostante continuo a girare con le stampelle, per andare e tornare alla clinica. Ho paura, mi sento insicura quando non sono in palestra, quando lei non è vicina a me pronta a prendermi al volo. In questi mesi è successo anche questo: mi ha afferrato prima che cadessi a terra.

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