Capitolo 2

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"La signorina Clarke Griffin? Prego, si accomodi...".


Mi aggrappo a Raven e Octavia e, con molta fatica, raggiungiamo la porta dell'ambulatorio. Per tutto il tempo sento gli occhi della dottoressa fissi su di me. Non riesco a decifrare il sguardo. Sembra osservare tutti i miei movimenti, da come muovo la gamba, alle smorfie di dolore. Quasi mi volesse fare una diagnosi al volo. Quando arriviamo nel suo studio, le mie amiche mi aiutano a sedermi sul lettino per le visite.

"Vi dispiace... lasciarmi sola con la paziente?", chiede cortesemente la dottoressa alle mie amiche.

"Certo nessun problema", replica con un sorriso la mia allenatrice.

Prima di uscire Raven si gira verso di me e fa quel suo sguardo.

"Ricordati quello che ti ho detto, Clarke", il suo avvertimento è forte e chiaro.

Annuisco sforzandomi di sorridere. Dopodiché i miei occhi ricadono sulla donna bionda che ho difronte.

"Innanzitutto buongiorno, signorina Griffin. Io sono la dottoressa Anya Forrest".

"Buongiorno", replico titubante.

"Le sue amiche mi hanno già fatto avere tutta la documentazione, la sua cartella clinica e tutti i referti degli esami a cui è stata sottoposta. Ho già studiato la sua anamnesi, e potrei fare una diagnosi anche subito... ma io non sono come i miei colleghi ortopedici, non mi basta controllare gli esiti degli esami effettuati e visitare il paziente...", lascia la frase in sospeso come se si aspettasse una mia reazione, cosa che ottiene.

"Cosa vuole sapere?".

"Ti va se ci diamo del tu?", mi domanda mettendosi a sedere sulla sua poltrona.

Annuisco non staccandole gli occhi di dosso.

"Perfetto! Clarke, prima di cominciare a lavorare insieme vorrei fare un patto con te...".

"Di che tipo?".

"Vorrei che questa collaborazione si basasse sulla sincerità più totale. Io non ti mentirò, e non ti illuderò con false speranze a patto che tu faccia la stessa cosa. Ti può star bene?", il suo tono è deciso, mi fa quasi tremare la sua sicurezza.

"Ok...", ribatto incerta.

"Allora, siamo intesi! Ora quello che vorrei sapere, che manca in tutte queste scartoffie, è come ti senti tu? Vorrei sapere la tua versione dell'accaduto, quella non scritta da nessuna parte. Vorrei sapere che cosa ti spaventa, quali sono le tue paure più recondite. Non voglio di certo forzarti, ma sarebbe il primo passo verso la guarigione. Pensi di riuscire a parlare con me?", mi domanda con un tono di voce calmo e accomodante.

Ogni singola parola arriva dritta al mio cervello, la sua tranquillità in qualche modo mi mette a mio agio, mi rasserena. Non so proprio come cavolo faccia. La sola idea di confidarmi con qualcuno di quello che è successo, mi ha sempre fatto sclerare, invece con lei... è diverso. La sua sincerità è disarmante. A questo punto il mio istinto di conservazione mi direbbe, a chiare lettere, di chiudermi a riccio, ma c'è qualcosa in questa dottoressa che mi ispira fiducia. Mi infonde stranamente sicurezza. Magari me ne pentirò amaramente, ma credo che sia arrivato il momento di farmi aiutare da qualcuno.

Sospiro pesantemente distogliendo lo sguardo. Cerco nella mia testa le parole per iniziare a spiegare il mio stato d'animo. Ci metto più del dovuto a partire, ma lei rimane lì, in attesa, senza forzarmi, aspettando i miei tempi.

"Come mi sento? Questa è una domanda che mi avranno fatto duemila volte da quando sono caduta. Onestamente non so come rispondere. All'inizio mi sentivo in colpa. Abbiamo lavorato duramente per 4 anni, io e il partner, per preparaci per le olimpiadi, e ci eravamo quasi, la terza medaglia d'oro consecutiva, ma io ho rovinato tutto sono atterrata male e mi sono fottuta il ginocchio...", le parole mi escono incontrollate, mentre il mio sguardo vaga sul pavimento, cercando di continuare senza farmi prendere troppo dalle emozioni.

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