20º capitolo: dall' appuntamento alla violenza

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Sono in camera da due ore ormai. Ho passato questo tempo a piangere e a disperarmi.

Verso le diciotto, sento mia madre che bussa alla porta e mi chiede: <<Lele, posso entrare?>>

<<Vieni>>, le rispondo.
Appena entra, mi dice: <<Dato che so che con me non ti sfogherai mai, ho chiamato le tue amiche a dormire e mi hanno detto che arriveranno tra una mezz'oretta. Scusami se non ti ho chiesto il permesso, però ti...>>, mi sorride, e viene interrotta dal mio grande abbraccio che, sicuramente, le scalda il cuore.

<<Ti ringrazio davvero tanto, mamma. Sai sempre quello che voglio. Ti voglio tanto bene>>, dico tra le lacrime.

Lei mi abbraccia più forte, poi si stacca per dirmi: <<Amore, ti voglio bene anch'io>>, mi sorride dolcemente e mi asciuga le lacrime sulle guance.

Sto per dirle che la deve smettere di chiamarmi amore, non sono più piccola, però alza un dito per non farmi parlare. <<Puoi dirmi quello che ti pare, ma continuerò a chiamarti amore anche quando saremo due vecchiette>>, il suo sorriso si allarga sempre di più ed è sempre più dolce.

Tutti dicono che ogni madre vuole bene a modo suo, ma io, invece, non la penso così, anzi tutto il contrario.

Io e mia madre parliamo per un quarto d'ora, di quando ero piccola. Non abbiamo mai parlato così. Mi racconta che ero una bambina dolcissima e che neanche l'esorcista, dallo spavento, riusciva a farmi piangere. Infatti, piangevo raramente, solo quando vedevo Babbo Natale.

Ero sempre allegra ed anche un po' dispettosa.

Per lei resterò sempre la bambina più bella di tutte. Io le ho detto che è solo perché sono sua figlia, ma lei, come sempre, mi ha contraddetta e ha anche aggiunto che il ginecologo che mi ha fatta nascere, dopo il parto, è venuto a rivedermi perché ha detto che ero stupenda.

L'ho di nuovo contraddetta, dicendole che, di sicuro, torna a rivedere ogni bambino, ma lei, contraddicendomi di nuovo, ha detto che, certamente, non ha lo sbatto di andare a guardare ogni singolo bebè che ha fatto nascere.
Sono contenta di sentirglielo dire.

Alle diciotto e mezza, arrivano Sara e Gabriella.

Corro verso di loro e le abbraccio fortemente. <<Grazie di essere qui, di essere venute>>, e, giustamente, inizio a piangere tra le loro braccia e le stringo più forte. Non faccio altro che piangere da quando è tornato Ale.

Gabriella mi prende in braccio e mi porta sul letto, mentre ci segue anche Sara.
<<Ora dicci perché sei ridotta così!>> esclama Gabriella.

Non riesco a parlare, continuo solo a piangere. Piango con le mani davanti al viso e le gambe incrociate. Piango e non mi fermo. Piango, piango e... piango... <<È orribile come mi sento in questo momento>>, riesco a dire.
<<È stato Alessandro?>> chiede Sara.

Smetto di piangere, la guardo, poi - dopo una pausa molto lunga, durata al massimo due minuti - ricomincio a piangere, ma 'sta volta molto, molto più forte.

<<Lele, scusami, però parla, ti prego, altrimenti non riusciremo mai a capirti>>, dice Sara con gli occhi tristi e cupi.

Inizio a raccontare, singhiozzando, mentre le mie amiche mi tengono per mano. Racconto tutto per filo e per segno, non tralasciando nulla.

Dopo mezz'ora, finisco di dire tutta la pappardella tra me ed Alessandro, ma non ho ancora smesso di piangere.

<<Ci dispiace, Leila, quando vi abbiamo visti sorridenti, prima sull'autobus, pensavamo si risolvesse tutto, invece...>> dice Sara.
<<Certo che però anche tu, figlia mia, potevi benissimo stare zitta, anziché mettere in mezzo un ragazzo che non esiste>> dice in tono duro Gabriella.

Non è mai finita || #WATTYS2017 (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora